E’ il conflitto generazionale, secondo Mario Draghi, uno dei maggiori punti di crisi del nostro sistema paese. Il governatore della Banca d’Italia non usa mezzi termini e stigmatizza così la situazione italiana nell’appuntamento tradizionale delle Considerazioni Finali sul 2007. Una relazione intensa quella di Draghi e densa di contenuti che – affrontate le tematiche più “tecniche” sulle fusioni bancarie, la situazione dei mutui e la crisi del sistema finanziario – hanno spaziato su questi punti cardine: formazione, tassazione, produttività e federalismo.
I GIOVANI – «Il Paese ha desiderio, ambizione, risorse per tornare a crescere », ha scandito Draghi alla platea di imprenditori, banchieri e sindacalisti. Ma i protagonisti della ripresa, i giovani, sono oggi «mortificati da un’istruzione inadeguata, da un mercato del lavoro che li discrimina a favore dei più anziani, da un’organizzazione produttiva che troppo spesso non premia il merito, non valorizza le capacità». Un conflitto generazionale reso ancor più evidente dai meccanismi del nostro sistema pensionistico, che tengono «lontana dal lavoro una quota troppo ampia della popolazione». Un sistema che non riesce a trovare elementi di elasticità per mettere a frutto l’esperienza di quanti avessero intenzione di continuare a svolgere un’attività.
LE TASSE – Sui conti pubblici il primo nodo è il debito pubblico, che va ridotto rispetto al Pil. I criteri da seguire sono «efficienza e crescita» senza i quali il risanamento dei conti viene reso più difficile. «I risultati per l’anno in corso si prospettano meno favorevoli», sottolinea Draghi, ripetendo le ultime stime di governo (deficit 2008 al 2,4%, crescita a +0,6%). Lo scorso anno i conti sono certo migliorati, ma «la riduzione del disavanzo è dovuta soprattutto al forte aumento della pressione fiscale: 2,8 punti percentuali tra il 2005 e il 2007». Il fisco mette sabbia nella capacità competitiva. Il suo peso è al 43,3%, tre punti sopra gli altri Paesi europei. Il confronto è ancora più impressionante se si guarda il costo del lavoro: fatto 100 l’esborso delle imprese, in Italia c’é un prelievo di fisco e contributi pari a 46 euro, nei paesi dell’area dell’Euro é di 43 euro, nel Regno Unito di 34 euro, negli Usa di 30. «E l’Irap accresce ulteriormente il divario», avverte Draghi. Anche sulle imprese il prelievo è 8 punti sopra la media Ue. L’intenzione del Governo «di definire in tempi brevi» gli interventi per un intero triennio, secondo Draghi, «può rendere più organica l’azione di bilancio». In questo contesto definire la riduzione «pluriennale di alcune importanti aliquote d’imposta migliorerebbe le aspettative di famiglie e imprese». Gli sgravi dovrebbero essere concentrati «laddove possono dare maggiore sostegno alla crescita, riducendo le distorsioni dell’attività economica».
LA PRODUTTIVITA’ – I problemi legati a un Pil asfittico, alla debolezza dei consumi, alle difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro, spiega Draghi, hanno un’unica matrice e un comun denominatore chiamato bassa produttività. Per il Governatore «Il nodo della produttività non si scioglie da più di dieci anni». E’ vero, riconosce Draghi, «non sono mancati interventi da parte dei governi che si sono succeduti in questi anni. Ma la gravità dei problemi che l’ economia italiana affronta da troppo tempo richiede che l’intero spettro dell’azione pubblica, dall’impianto normativo e regolatorio alla dimensione e alla qualità del bilancio pubblico, sia volto all’obiettivo prioritario della produttività e della crescita». Anche perché, insiste Draghi, solo così sarà possibile dar corso alla promessa di buste paga più pesanti: solo aumenti generalizzati di produttività – sintetizza – potranno tradursi in guadagni retributivi per i lavoratori dipendenti. Viceversa, ancora oggi, il quadro resta cupo. E’ vero, riconosce il governatore, che «le imprese esposte alla concorrenza non sono rimaste inerti», «e parti del sistema produttivo hanno iniziato a ristrutturarsi», ma «nel sistema del complesso produttivo, gran parte del quale è al riparo dalla concorrenza internazionale, la produttività media ancora non progredisce».
FEDERALISMO – Il Mezzogiorno, che mostra «una dipendenza economica ininterrotta», sottolinea con forza il governatore di Bankitalia in un lungo capitolo della relazione, resta ancora arretrato e misura con i numeri questo ritardo: «nel 2007 il rapporto tra il prodotto per abitante delle regioni meridionali e quello del Centro-Nord non ha raggiunto il 60%; resta inferiore a quello di trent’anni fa. In Germania, il prodotto pro capite dei lander orientali è cresciuto nell’ultimo decennio molto più che nel resto del Paese». La politica regionale in favore del Meridione, ricorda il responsabile di Palazzo Koch, «ha potuto contare nello scorso decennio su un ammontare di risorse finanziarie comparabile con quello dell’intervento straordinario soppresso nel 1992. I risultati sono stati inferiori alle attese». Le cause di questo ritardo secolare Draghi le enumera in modo chiaro e preciso: «debolezza dell’amministrazione pubblica, insufficiente abitudine alla cooperazione e alla fiducia, costume diffuso di noncuranza delle norme». In sostanza, è la raccomandazione del numero uno di Via Nazionale, «per il progresso della società meridionale l’intervento economico non é separabile dall’irrobustimento del capitale sociale». Anche perché, spiega, la spesa pubblica è tendenzialmente proporzionale alla popolazione, mentre le entrate riflettono redditi e basi imponibili di gran lunga inferiori. In un contesto come questo, conclude Draghi, «il federalismo fiscale avrà tanto più generale consenso quanto più accrescerà l’efficacia dell’azione pubblica. E’ importante che il sistema dell’imposizione e della spesa a livello decentrato sia tale da premiare l’efficienza».