Di tutti gli italiani che vanno in vacanza, tre milioni e mezzo hanno bisogni speciali. Vi rientrano persone cieche, sorde, claudicanti o che si muovono con l’ausilio della carrozzina, ma anche coloro che soffrono di qualche forma di allergia, nonché anziani, obesi, cardiopatici, donne in gravidanza, e perfino famiglie con bambini in passeggino. Si tratta di una clientela eterogenea potenzialmente interessata al mercato del turismo cosiddetto accessibile. Una ricerca del 1999 condotta da Iter/Enea insieme a quello che allora si chiamava ministero dell’Industria, ha quantificato il valore diretto di questo mercato in duemila miliardi di lire. Ma che cosa si intende per accessibilità e come si coniuga questo concetto con quello di vacanza? «Parlare di accessibilità nel mercato del turismo – spiega Roberto Vitali – significa parlare di qualità dell’offerta turistica poiché un turismo fruibile da tutti, a prescindere o meno dall’avere bisogni speciali, è indice di qualità». Vitali, 48 anni, ferrarese, è sposato e ha una bambina. A 15 anni, in un giorno nebbioso del 1976, mentre era in motorino «una macchina – racconta – pensò bene di darmi un passaggio sul cofano». Paraplegico da allora e costretto a muoversi sulla sedia a rotelle, non per questo ha rinunciato alla passione per i viaggi, che, unita al pallino per l’informazione (Vitali è anche giornalista), l’ha fatto diventare l’esperto di oggi. Un esperto che fa un mestiere particolare, il consulente in turismo accessibile. «Da anni vado in giro a fare convegni e seminari – dice -, a spiegare agli operatori turistici che esiste un mercato. Per I viaggi del Ventaglio, ad esempio, ho seguito la progettazione di alcuni villaggi e mi sono occupato di un aspetto della formazione del personale. Nel 2006 il Gruppo, solo in questa nicchia di mercato, ha fatturato quattro milioni e 800 mila euro». Roberto Vitali ha anche collaborato alla stesura del volume Turismo senza barriere del Touring Club. Ma quello che forse gli ha dato più soddisfazione è stato l’incontro con Franco e Arnalda Vitali, i titolari del Camping Village Florenz di Lido degli Scacchi, in provincia di Ferrara. «Li ho incontrati nel 2005, dopo che si erano trovati in difficoltà nell’ospitare dei ragazzi in carrozzina. Abbiamo migliorato la percorribilità delle dune e introdotto alcuni accorgimenti per l’accessibilità complessiva, ma il primo problema si è posto con le case mobili. Le aziende produttrici proponevano strutture quasi “ospedaliere”, ma chi va in vacanza ha bisogno di un design, di un’estetica che rispetti il valore della vacanza. Così, partendo da un modello di casa mobile standard, l’abbiamo resa fruibile senza stravolgere il progetto del costruttore, perché questo avrebbe significato insostenibilità dei costi industriali». Il principio guida nel lavoro non è stato tanto quello di attenersi alla normativa, quanto quello di partire dalla conoscenza del bisogno. «Per le attuali 17 case mobili accessibili – dice Arnalda Vitali – abbiamo fatto solo una scelta senza consultarci con Roberto. Abbiamo comprato delle sedie. Le abbiamo dovuto ricomprare, perché non erano adatte». Dal 15 marzo al 10 giugno, il Camping Florenz ha avuto 2.200 presenze di persone disabili, con un fatturato relativo di 135 mila euro. Quando, invece, l’accessibilità viene affrontata come un adempimento legislativo al quale adeguarsi, si crea una distorsione del mercato «come quella dei sanitari per disabili – si accalora Roberto Vitali – con superwater enormi e inutilizzabili e un trionfo di maniglioni messi in ordine sparso che fanno assomigliare l’ambiente a una clinica». Recentemente Vitali ha creato Village for all, un’associazione di promozione sociale che fa lo screening dei villaggi, ne progetta l’accessibilità e promuove corsi di formazione per gli operatori. La decisione di concentrarsi su questo tipo di struttura ricettiva dipende dal fatto che il villaggio turistico riesce a rispondere anche alle esigenze dei gruppi e non solo dei singoli. «E poi – aggiunge Vitali – bisogna aver chiaro che l’accessibilità non è motivo di vacanza. Non scelgo la montagna perché lì c’è un albergo che ha una camera per disabili. Il guaio è che ci si accosta alla disabilità in maniera astratta». Un esempio? «Prendiamo l’espressione “diversamente abili” che oggi va di moda. È una categoria astratta che nasce dal politicamente corretto e dal fatto che si parla di qualcosa che non si conosce. Ma che cosa hanno in comune una persona con disabilità e una senza? L’essere persona. Nell’arco della vita chiunque può trovarsi in una condizione fisica che lo renda non autosufficiente. Per questo, parlare di persone con disabilità serve innanzitutto a chi non è disabile per tenere l’accento sul fatto che si sta parlando di persone, non di una categoria astratta». Persone, quindi, e come tutte le persone con difetti, pregi e, in qualche caso, doti fuori dal comune. Il racconto delle esistenze straordinarie di alcuni di loro nel libro E li chiamano disabili di Candido Cannavò enfatizza l’eccezionalità dell’handicap che «è un motore – scrive l’ex direttore della Gazzetta dello Sport – di cui non si conoscono i limiti». Forse anche questa è un’astrazione. Roberto Vitali è del parere che siano necessari due passaggi culturali: «Dai vincoli alle opportunità, comprese quelle del mercato; e dalle disabilità ai bisogni». Il turismo è un campo su cui si può misurare il progresso di questi passaggi culturali. «Quello che mette in crisi l’ospitalità è la capacità di soddisfare i bisogni. Il principio del turismo è il principio dell’accoglienza. Nasce accogliendo i pellegrini che andavano in pellegrinaggio nei vari monasteri e santuari. E quindi il principio è quello di far sentire lo straniero a casa propria anche in terra forestiera».



(Carmelo Greco)

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