«Cristianofobia: ingerenza umanitaria. Subito»: questo l’invito perentorio che il quotidiano dei vescovi Avvenire ha lanciato domenica con un editoriale a firma Luigi Geninazzi. Un appello forte e concreto lanciato soprattutto all’Europa, perché prenda provvedimenti non solo verbali contro le persecuzioni dei cristiani in vari Paesi del mondo. Per capire più a fondo il significato di questa richiesta, ilsussidiario.net ha raggiunto l’autore dell’editoriale.



Geninazzi, pensavamo fino a poco tempo fa che il vero problema dei cristiani fosse l’emarginazione del cristianesimo nell’occidente secolarizzato: perché ora ritorna invece il problema delle persecuzioni?

Bisogna dire che il problema dell’Occidente rimane, anche se sotto la spinta di Benedetto XVI la situazione si è sostanzialmente ribaltata: il confronto con il messaggio cristiano è divenuta una questione centrale per il pensiero occidentale, e l’ultimo viaggio del Papa a Parigi lo ha dimostrato chiaramente. Quel che accade fuori invece ci coglie realmente impreparati. L’evoluzione dei fatti dopo l’11 settembre è stata sia in direzione di un terrorismo che ha colpito l’America e l’Europa, ma poi sempre di più si è curvato sui cosiddetti “crociati” e ha preso accentuazioni sempre più fortemente religiose. Basta vedere gli ultimi messaggi di Al Qaeda. Quelle però sono parole; i fatti sono che nei paesi islamici, nel Medio Oriente e anche nei paesi arabi che un tempo si pensavano rispettabili, come l’Indonesia, la Malesia, e perfino in Algeria, i cristiani sono nel mirino.



Non stiamo dunque parlando del generico attacco contro l’Occidente: sono i cristiani locali i veri perseguitati.

È proprio questo l’elemento di cui dobbiamo renderci conto. Era comprensibile che nello scontro originatosi dall’11 settembre venissero coinvolti i cristiani europei e più particolarmente certo fondamentalismo protestante americano. Quello che non ci si aspettava invece è che nel mirino potessero finire i cristiani locali, i cristiani arabi. La situazione dell’Iraq è al tempo stesso emblematica e paradossale: i Caldei c’erano prima che arrivasse Maometto, eppure sono ugualmente considerati una quinta colonna dell’America.



Oltre all’Iraq, in quali altri Paesi questa situazione si è manifestata maggiormente? Negli ultimi mesi si è parlato molto della situazione in India.

L’India è un caso a parte, dove ci sono altre motivazioni di carattere politico-sociale. Il caso classico per capire questa pericolosa inversione di tendenza è invece proprio quello dei paesi arabi, dove il cristiano è sempre stato rispettato, perché visto come un ponte verso l’Occidente; ora invece è considerato un nemico. Questo naturalmente non accade solo in Iraq, ma anche in Palestina, dove fino a tre o quattro anni fa  questo atteggiamento non c’era mai stato. A Gaza ci sono da vent’anni scuole di cristiani, non solo rispettate ma anche frequentate da bambini arabi: ora sono state prese di mira più volte nell’arco di un anno. Sono questi i fatti che ci spaventano, perché il dialogo è caduto, e questa per il cristiano locale, arabo o indiano, è una grandissima sfida. Per noi invece la sfida è come reagire di fronte a questa situazione: non limitiamoci a deplorare, perché siamo interpellati direttamente.

Tramite l’editoriale di domenica Avvenire lancia anche una proposta concreta: applicare il concetto di ingerenza umanitaria alle persecuzioni dei cristiani. Cosa significa?

Faccio un esempio partendo da un’agenzia che ho letto stamattina: in vista dell’appuntamento di fine mese tra Unione europea e India, di cui ho parlato nell’editoriale, l’Ue sta alzando la voce in merito ad alcuni problemi sul commercio dei prodotti alcolici; inoltre l’Ue pare abbia intenzione di porre al centro il problema dello sfruttamento del lavoro minorile. Quello che chiediamo è che semplicemente, oltre a questi temi sicuramente importanti, venga messo sul tavolo anche il discorso del rispetto dei cristiani. Sarebbe una giusta ingerenza umanitaria: così come ponendo il problema del lavoro minorile l’India non può solo rispondere “sono affari nostri”, allo stesso modo e ancor di più la sorte dei cristiani non è solo “affare loro”. Un ministro dell’Unione europea, anche se laico, deve porsi questi problemi, e sapere che rappresenta un continente con radici cristiane.

Perché questa sorta di indifferenza da parte dell’Europa per le persecuzioni contro i cristiani, mentre le discriminazioni verso altre religioni sono così ben monitorate?

Qui il terreno è delicato, ma bisogna pur dire le cose come stanno. L’antisemitismo va sempre combattuto, perché ci sono sempre pericolosi focolai. Però onestamente non mi pare si possa parlare di un antisemitismo dilagante e crescente. Su Le Figaro di sabato c’era un’intervista al presidente del comitato rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia in cui denunciava l’antisemitismo crescente: l’unico esempio che riportava era un’aggressione subita qualche settimana fa da tre ragazzi. Un episodio sicuramente grave e da condannare senza riserve; ma comunque imparagonabile alla quantità di sacerdoti e i laici uccisi solo in Iraq. Mentre ebrei e islamici hanno i centri di osservazione per le discriminazioni che fanno giustamente opera di monitoraggio su violenze e discriminazioni, i cristiani non hanno organi “laici” che verifichino questa situazione. Invece è una cosa che andrà fatta, e presto, perché quelli di cui stiamo parlando non sono affatto casi isolati.