Con la chiarezza che contraddistingue sempre i suoi interventi, il Presidente della Cei Card. Bagnasco nella prolusione al Consiglio Permanente ha spiegato qual è la posizione dei vescovi italiani in merito a una legge sul fine vita: dopo la sentenza della Cassazione sul caso di Eluana Englaro, secondo la quale la donna in stato vegetativo può essere lasciata morire di fame e di sete, è necessario tutelare e rafforzare alcune garanzie messe in pericolo proprio da quella sentenza.



Ci si aspetta innanzitutto che la futura legge riconosca “valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita”. Una normativa quindi che permetta di dichiarare anticipatamente il proprio consenso o meno a trattamenti sanitari, un consenso da far valere quando non si è in grado di esprimerlo direttamente, al momento necessario, magari perché ci si trova in stato di incoscienza, dopo un incidente o per una malattia.



Per essere valido deve innanzitutto essere espresso in modo chiaro e senza possibilità di equivoci: in forma scritta e certificata, quindi, per evitare improbabili ricostruzioni a posteriori di “volontà presunte” del malato dai suoi “stili di vita”, come abbiamo letto nella sentenza per Eluana Englaro. Ma soprattutto la persona dovrà esprimere un vero consenso informato: niente modulistica o prestampati da compilare, quindi, e neppure dichiarazioni astratte e generiche del tipo “in caso di malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante chiedo di non essere sottoposto a nessun trattamento terapeutico”, come recitano modelli di testamento biologico pubblicizzati di recente nel nostro paese. Un vero consenso informato presuppone informazioni chiare e circostanziate, riferite a situazioni concrete e specifiche, che la persona deve dimostrare di avere compreso bene.
Solo in questo modo dichiarazioni anticipate di trattamento potranno avere peso nel rapporto medico-paziente, quando questo non sia più in grado di dare il proprio consenso nel momento in cui viene richiesto.



Dichiarazioni anticipate solo se all’interno di un rapporto di fiducia con il proprio dottore, che quindi ne dovrà sicuramente tenere conto ma che non sarà obbligato ad eseguire: il medico non potrà che agire in scienza e coscienza nell’esercizio della sua professione, che prevede il dovere di prendersi cura dei propri pazienti, innanzitutto non abbandonandoli.
In quest’ottica, ovviamente, alimentazione ed idratazione rimangono sostegni vitali, indipendentemente dalle modalità di somministrazione – autonoma o con supporti esterni come il sondino naso-gastrico con cui viene nutrita Eluana, tanto per spiegarci: non essendo trattamenti sanitari, non saranno oggetto dell’articolato della futura legge, e la loro sospensione non potrà essere prevista.

Libertà nel curare e nell’essere curati, in un rapporto di fiducia fra chi cura e chi viene curato: questo lo spirito della futura legge sul fine vita auspicata dal presidente della Cei, e da noi condiviso.