La notizia è di dieci ragazzi morti e di un suicidio. Nella scuola finlandese di Kauhajoki, ieri mattina, uno studente, colto da raptus omicida, ha fatto fuoco contro alcuni dei suoi compagni tentando poi di togliersi la vita.
Subito la mente ricorre ai numerosi episodi analoghi. Dalla storica strage del 1927 alla statunitense Bath School, che vide 45 morti, ai più recenti avvenimenti della Columbine School, raccontati da ben due film. Per non parlare dell’eccidio al Virginia Politechnic avvenuto il 16 aprile 2007 che causò la morte di ben 32 individui.
Ma anche la stessa Finlandia non è priva di precedenti. Basti pensare a quanto avvenne, sempre lo scorso anno, al liceo Tuusula, quando uno studente, dopo aver annunciato le proprie intenzioni su youtube, uccise a sangue freddo otto compagni e si suicidò.
Una lunga serie di casi dalla somiglianza impressionante, tanto da sembrare quasi riconducibili a una patologia a se stante.
Ma è davvero così? Abbiamo chiesto allo psichiatra Alessandro Meluzzi un’opinione in merito.
Dottor Meluzzi, non è la prima volta che assistiamo a simili tragedie. Quali sono, a suo avviso le dinamiche scatenanti?
Ci sono diverse considerazioni che vanno fatte. La prima è di carattere generale ed è legata alla preoccupante assuefazione alla circolazione e all’uso delle armi. È statisticamente provato che più le armi sono accessibili più vengono utilizzate. La disponibilità di mezzi offensivi è dunque un potente fattore di rischio, molto spesso si tratta infatti di armi domestiche di solito rimediate in casa. Infine si tende a usare l’arma in modo improprio. Difatti una volta brandite le armi devono essere usate, occorre essere pronti a usarle.
Questo fattore fa scattare nei soggetti deboli una sorta di tentazione all’utilizzo.
Ma le cause non si limitano, com’è presumibile, soltanto a questa condizione sociale.
Infatti vi è un’importante seconda considerazione: l’omicidio suicidio è frequentemente la conseguenza di una situazione psicopatologica che si chiama raptus del malinconico.
Si tratta di una sindrome di tipo depressivo, o paradepressivo, in cui la vita a un certo punto appare talmente insopportabile da ritenersi in dovere di cancellare la propria e quella degli altri. Nella stragrande maggioranza dei casi di omicidio suicidio, però, il raptus malinconico si riferisce a persone che sono solitamente amate. Classica la situazione di un padre che spara a moglie e figli e si suicida. Uccide i propri cari perché la vita gli appare talmente insopportabile che pensare che qualcuno possa sopravvivere in quello che egli concepisce come un vero e proprio inferno per lui diviene un’idea intollerabile.
Quanto avviene in un istituto scolastico può avere le stesse caratteristiche da lei descritte?
In queste situazioni di omicidio suicidio prevale non la depressione, ma l’aggressività e l’ostilità che è tipica dei disturbi di personalità i quali, non a caso, rappresentano una patologia che dilaga nel mondo giovanile e adolescenziale.
Alla base del disturbo di personalità vi è un’inadeguatezza affettiva, cioè un’incapacità di vivere le emozioni in maniera adeguata ai contesti, un’incapacità di controllo degli impulsi, un’impossibilità di programmare la vita in un modo ragionevole e c’è una tendenza al passaggio all’atto, al cosiddetto acting out.
Tale passaggio non sempre, per fortuna, è così cruento, ma in generale si può benissimo considerare un acting out il correre in macchina a velocità folli, o il gettare sassi dal cavalcavia.
Questa specie di tossicodipendenza da adrenalina, combinata ad una situazione di ostilità, genera poi questo tipo di passaggi all’atto che spesso hanno nel suicidio finale il loro esito naturale.
Come mai gesti di questo tipo accadono spesso nell’ambiente scolastico?
In primo luogo preciserei che la scuola dovrebbe essere in grado di registrare situazioni a rischio. È molto difficile che terremoti di questo tipo non diano scosse di avvertimento. Solitamente ci sono segnali che dovrebbero essere interpretati, registrati, ma che purtroppo passano spesso sotto silenzio o, anche se talora diagnosticati, non danno luogo a una risposta all’altezza del bisogno. La salute mentale di un individuo è legata anche alla natura dell’istituzione scolastica.
Educare significa in primo luogo educere, ossia condurre l’individuo fuori da se stesso verso un orizzonte di significato che dia senso all’esistenza. Se la scuola si riduce solo a luogo di fredda informazione, e perde il suo significato di formazione, abdica alla sua funzione primaria.
Può accadere che i soggetti più sensibili a questo tipo di raptus siano persone emarginate? Sono situazioni piuttosto consuete nelle classi di giovani.
Certo, è molto facile che una situazione del genere possa riguardare soggetti vittime di emarginazione che, in un certo senso, applicano un’azione di vendetta contro la società e contro se stessi in ultimo. Ma, come dicevo prima, se manca l’anima dell’educazione al personale docente non si può pretendere che una personalità complessa trovi da sé la propria guarigione.
È un caso che queste stragi avvengano spesso in un paese, la Finlandia, che appartiene alla regione scandinava, dove il tasso di suicidi è uno dei più elevati al mondo?
Anche questa è un’osservazione intelligente. Ma non esaustiva. I disturbi affettivi stagionali (SAD), legati a scarsa illuminazione e alle molte ore di buio, producono un fattore di rischio importante per gli equilibri dell’umore. Così come c’è un elevato tasso di suicidi, dal momento che spessissimo il suicidio è un atto intrinsecamente aggressivo, e non passivo come si sarebbe facilmente indotti a pensare, può benissimo assumere la forma di omicidio suicidio. Un aspetto molto interessante, che però non spiega interamente il fenomeno di cui stiamo parlando.
Esiste una forma davvero efficace di terapia per i soggetti suscettibili di queste terribili patologie mentali?
La terapia farmacologica può essere utile soprattutto se accompagnata da una terapia psichiatrica. Ma occorre effettuare un lavoro che vada ad incidere anche sul profilo esistenziale dei soggetti a rischio. Bisogna cioè che siano accompagnati umanamente e non lasciati a se stessi.
Parafrasando Clemenceau che diceva «la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai generali» affermo che la salute mentale è troppo seria per affidarla soltanto agli psichiatri.