Sottosegretario Mantovano, il ministro Maroni, nel corso della sua audizione ieri al Senato, ha parlato di «guerra civile che la camorra ha dichiarato allo Stato e questo deve rispondere con tutti i mezzi». La situazione è così grave?

La situazione è obiettivamente grave. Vi sono più zone del territorio nazionale – quella di Castel Volturno, di Castel di Principe e di altre zone del Casertano dove sono attivi i Casalesi, ma un’altra è l’entroterra reggino – che sembrano essere porto franco per la criminalità organizzata. E il paradosso, per quanto riguarda la zona dei Casalesi, è che là lo Stato ha ottenuto importanti successi in fase di repressione.



Come si spiegano allora fatti come quello di Castel Volturno?

Questa esplosione di violenza è la conseguenza paradossale del fatto che i capi sono stati messi in carcere, mentre i nuovi, che non hanno ancora la forza per affermarsi, vogliono dimostrare di essere indipendenti compiendo efferati atti criminali. Nel Casertano ci troviamo di fronte non ad un’organizzazione unitaria, verticistica, e quindi più forte, ma ad un magma malavitoso che proprio per questo rende più difficile l’azione di prevenzione e di individuazione dei responsabili.



Quali sono i punti salienti del decreto legge approvato l’altro ieri dal Consiglio dei ministri?

Il decreto è un intervento di carattere parziale rispetto a un quadro che ha cominciato a delinearsi con il decreto legge convertito a luglio dal Parlamento, e con i decreti legislativi che il Consiglio dei ministri ha varato contestualmente all’ultimo decreto legge, ma che conoscerà un assetto ancora più completo e regolato con il disegno di legge attualmente all’esame del Senato. Il decreto legge licenziato l’altro ieri ha affrontato alcune misure urgenti e immediate – per esempio l’invio di 500 militari, o l’anticipo della disponibilità finanziaria per realizzare i centri per le espulsioni – ma non è il fattore che permette, da solo, di completare il quadro. Spero che questo possa avvenire entro fine anno o inizio del prossimo: nel disegno di legge riteniamo di inserire norme ancora più efficaci sulla lotta al riciclaggio, sullo scioglimento delle amministrazioni comunali per infiltrazioni mafiose, sulla questione racket e usura. Contiamo di fare un lavoro ad ampio spettro.



Il Pd, con il ministro ombra dell’Interno Marco Minniti, ha detto che «c’è bisogno di un piano organico di interventi, che non sia emergenziale e che preveda controllo del territorio, investigazione e intelligence». La vostra soluzione risponde a queste esigenze?

Quella che abbiamo adottato è stata una misura immediata ma non ha i caratteri dell’organicità. Vi era per esempio la data di scadenza delle norme sui tabulati telefonici (proroga fino al 31 dicembre dell’obbligo per i gestori di telefonia di conservare i dati del traffico telefonico, ndr.), che esigeva una prima soluzione, oltre al via libera ai 500 militari. Se il Pd avesse la bontà di guardare i testi che abbiamo proposto al Parlamento, coglierebbe i segnali di un intervento più complesso. Certo nessuno può pretendere il monopolio dell’organicità.

Il 7 ottobre scatta il termine per gli emendamenti al ddl che attualmente al Senato…

Stiamo presentando altri emendamenti, frutto anche di un confronto con la Direzione Nazionale Antimafia e con l’associazionismo antiracket, che riguardano il contrasto alla criminalità organizzata, la sanzionabilità dell’inottemperanza all’obbligo di denuncia, le confische. È un lavoro articolato e confidiamo in un atteggiamento diverso del Pd rispetto a quello che ha avuto finora, perché abbiamo riproposto in larga parte provvedimenti che il Pd non era riuscito ad approvare ma che aveva proposto nella precedente legislatura.

I due schemi di decreto legislativo che rivedono in senso restrittivo le norme sul diritto d’asilo e sul ricongiungimento familiare degli immigrati hanno avuto il via libera dell’Ue, ma quello sulle espulsioni ha sollevato numerose obiezioni. In Europa si parla di incompatibilità con il diritto comunitario. Che ne pensa?

Tutti dobbiamo ricordarci che la direttiva sulla libera circolazione delle persone (2004/38) viene varata nel febbraio 2004, è frutto cioè del lavoro degli anni precedenti, mentre l’apertura Ue ad alcuni paesi per i quali la libera circolazione ha dato problemi – uno per tutti, la Romania – risale al gennaio 2007. Già questo semplice fatto imporrebbe, intanto, di rivedere l’impianto della direttiva sulla circolazione, se a situazioni diverse vogliamo rispondere con strumenti adeguati. Nello stesso tempo, però, vogliamo inserirci nelle maglie della direttiva del 2004 per renderla più elastica e fruibile. E un confronto su questo con l’Unione europea è attualmente aperto. C’è solo da augurarsi che la Ue, visti i suoi tempi, non tardi anni a rispondere.