Dopo l’appello del pontefice perché ritorni la pace in India, la Conferenza Episcopale Italiana ha indetto una giornata di digiuno per venerdì 5 settembre, giorno dedicato, tra l’altro, alla memoria della Beata Teresa di Calcutta. Antonio Socci ci spiega l’evolversi della situazione dei cristiani in India e nei Paesi più “caldi”.



Antonio Socci, come commenta le parole del Papa sulla difficile situazione indiana e l’iniziativa della CEI?

Benedetto XVI ha parlato in maniera molto cauta e paterna perché vuole chiaramente evitare ritorsioni sui territori dell’India interessati e lo scatenamento di altri massacri. Quindi nel suo linguaggio si avvertono note di comprensione, di perdono e una via per trovare una sorta di accordo con gli induisti.



In merito all’iniziativa del digiuno reputo che si tratti di una decisione bella e importante. Questa presa di posizione della CEI segna finalmente un giudizio forte sulla situazione e va dunque salutata con gioia considerandone poi l’autentico significato. Il digiuno dei cristiani non è una manifestazione come quelle dei radicali, ma è innanzitutto una preghiera di aiuto a Dio.

Come vede la situazione in India e quali sono le cause di un simile odio verso i cristiani?

È ormai da molto tempo quel tipo di cultura, che in Occidente viene spesso rappresentata in maniera molto banale e superficiale come una cultura della tolleranza e della convivenza, si mostra per quello che è: nazionalista intollerante e violenta.



L’India è uno Stato dove la religione viene utilizzata come uno strumento di preservazione di un sistema di caste che è assolutamente vergognoso e pazzesco e che purtroppo, nonostante l’abolizione formale, è sopravvissuto a 50 anni di democrazia.

Si può capire, nell’impatto con il mondo indiano, quale tipo di rivoluzione abbia rappresentato il cristianesimo. Fu una totale novità che irruppe nel mezzo delle culture pagane che allora imperversavano praticando ingiustizie per noi oggi inaccettabili. Noi attualmente ragioniamo sempre dando per acquisiti e naturali dei dati e dei comportamenti che derivano da 2000 anni di cristianesimo. Ma molte religioni pagane ignorano lo stesso concetto di pietà. Quindi si può ben capire, da un lato, lo stravolgimento portato in India dai cattolici, dall’altro, la reazione violenta che venne e continua a venir loro inflitta. Tutto ciò pur essendo l’impatto dei missionari cattolici molto umile e rispettoso delle culture altrui, anche a confronto con quello dei protestanti.

Quali sono, secondo lei, le altre situazioni particolarmente critiche, in questo momento, per i cristiani nel mondo?

La prima a venirmi alla mente è quella dell’Egitto dove risiede una minoranza cristiana molto grande, direi anzi che è impreciso parlare di “minoranza” dal momento che rappresentano il 10% della popolazione. Le chiese copte sono quasi unite a Roma, hanno una sensibilità straordinaria e rappresentano l’eredità dei primi cristiani. I cristiani erano in Egitto molto prima dei musulmani e il continuo assedio ideologico e concreto cui sono sottoposti sta diventando sempre più soffocante. La settimana scorsa è venuta fuori, nel dibattito politico egiziano, l’idea di proibire i trapianti fra persone di religione diversa. Tale fatto discrimina evidentemente i cristiani, già vittime di una situazione dura e pesante. Poi si consideri la difficile situazione in Libano, unico paese dove i cristiani non rappresentano una minoranza, eppure viene loro mossa sempre guerra.

Uno sguardo più positivo, nonostante l’attuale situazione, si può rivolgere alle situazioni in India e in Cina. In India si contano circa 200 milioni di dalit, i paria, gli intoccabili. Costoro rappresentano un gruppo umano che è molto sensibile al messaggio cristiano, e molte sono le conversioni che provengono dalla loro casta. La Cina pian piano sta accedendo anche all’idea della liberalizzazione politica e in un futuro non vedo impossibile un maggior dialogo sulla questione religiosa.

Nel suo libro, I nuovi perseguitati, lei ha svolto una sconvolgente indagine sulla situazione dei cattolici e in generale dei cristiani in molti Paesi. Trova che l’opinione pubblica abbia in qualche modo cambiato la propria percezione del fenomeno rispetto a qualche tempo fa?

La cosa che mi ha più impressionato è stata la ricezione molto forte che il mio libro ha avuto su persone come Paolo Mieli, Ernesto Galli della Loggia, che ne ha scritta la prefazione, o anche Angelo Panebianco. Si tratta di personaggi di cultura laica e liberale che si rendono conto del panorama devastante delle persecuzioni cristiane e che in qualche modo ne hanno fatta una lotta personale. Paradossalmente sono i cristiani del mondo cattolico Occidentale ad essere inconsapevoli della propria situazione. A parte poche straordinarie esperienze come Aiuto alla chiesa che soffre o Russia Cristiana, che sono stati eroici punti di collegamento nella storia fra Occidente e Oriente cristiani, il mondo cattolico ancora pochi anni fa non si era reso conto dell’esistenza di una Chiesa in decine e decine di paesi perseguitata per la propria fede.

Quando andavo in giro per presentare il mio libro dicevo provocatoriamente: «nelle vostre parrocchie quante volte, durante le preghiere dei fedeli o nelle veglie di preghiera, vengono nominati i cristiani perseguitati?». Ovviamente la risposta era: “Quasi mai”.

Eppure non è sempre stato così.

Certo che no! Se si pensa che cos’era l’esempio dei martiri nell’antichità e come questo venisse difeso e proclamato dalla classe intellettuale cristiana dei tempi, ci si accorge di come le cose siano cambiate.

Oggi, con il pontificato di Giovanni Paolo II, si è un po’ sfondata questa pigrizia intellettuale. Il precedente Papa si è portato addosso tutto il peso della Chiesa del silenzio. Ma da qui a far passare la reale e drammatica situazione dei cristiani nel mondo attraverso la mentalità comune ce ne vuole. Io continuo a ritenere che molto spesso è più sensibile la stampa laica rispetto alla stampa cattolica su questi argomenti.