È di venerdì 9 gennaio la notizia della nascita della bambina selezionata ex-vivo in una clinica dell’University College di Londra perché non abbia mutazioni nei geni di suscettibilità al carcinoma della mammella. Questa operazione biotecnologica è stata salutata dai media come un portentoso avanzamento della scienza e della medicina. Ma è tutto oro quello che luccica nel tempio britannico della procreazione medicalmente assistita? Il futuro della prevenzione oncologica passa davvero attraverso la nuova “eugenetica liberale”?
È nota da più di dieci anni l’esistenza di mutazioni in alcuni geni (BRCA1, BRCA2) che aumentano il rischio familiare di ammalarsi di carcinoma della mammella e di altri tumori (come quelli all’ovaio, alla prostata, e ad altri organi). Nelle donne portatrici di mutazioni nel gene BRCA1 il rischio di sviluppare il carcinoma aumenta nel corso della vita e si avvicina al 70% verso gli 80 anni; il rischio è minore (20-30%) nelle donne con una mutazione nel gene BRCA2, mentre è frequente l’insorgenza del carcinoma della mammella nei maschi portatori della mutazione. Se non sono presenti mutazioni in questi due geni, come nella bambina geneticamente selezionata ad hoc e nelle moltissime persone naturalmente prive di queste mutazioni, non ci si ammala di tumori ginecologici o urologici? Osservando la realtà clinica, le cose non stanno proprio così.
Circa una donna su 12-14 si ammala di carcinoma della mammella nel corso della propria vita. Le mutazioni nei geni di suscettibilità spiegano solo una piccola percentuale (5-10%) dei tumori della mammella; la grande maggioranza dei casi di questi tumori (90-95%) ha altre cause, di natura non ereditaria. Eliminando le cause genetiche, non si annulla il rischio di ammalarsi di tumore della mammella sporadico (anche la neonata inglese potrebbe un giorno ammalarsi di carcinoma mammario od ovarico).
Nei paesi occidentali, il rischio di ammalarsi di un tumore per un uomo è di uno su tre, e di uno su quattro per la donna; eliminando il rischio del tumore della mammella non si elimina il rischio dei tumori tout court.
Come per tutti i tumori della mammella, la diagnosi precoce (mediante mammografia ed ecografia) è efficace nell’identificare il carcinoma mammario in fase iniziale. Quando in una famiglia è presente un rischio genetico per questo tipo di tumore, esso esordisce tipicamente in età più giovanile rispetto al tumore sporadico. Esistono sistemi efficienti per la diagnosi precoce del carcinoma della mammella in età giovanile, quando la mammografia non è altamente sensibile e specifica: la risonanza magnetica è in grado di identificare fino al 94% dei tumori in fase iniziale.
Anche se appare maggiore la frequenza di tumori a prognosi peggiore tra i casi ascrivibili ad una suscettibilità genetica, non esistono casistiche definitive a questo riguardo. Inoltre, in presenza di un fattore genetico di rischio, esiste la possibilità di prevenire l’insorgenza del carcinoma della mammella e dell’ovaio mediante farmaci o chirurgia selettiva (attualmente, non è sempre necessario ricorrere all’asportazione profilattica dell’intero organo).
Infine, la ricerca ha identificato una categoria di farmaci (gli inibitori della poli-ribosio polimerasi) che, negli studi preclinici, si sono dimostrati estremamente efficaci nell’eliminare le cellule del tumore in cui sono presenti mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2.
Per le ragioni sopra ricordate, la vita di una persona con mutazioni genetiche che predispongono ai tumori – in particolare, al tumore della mammella e dell’ovaio – non è destinata a finire precocemente o ad essere mutilata: pur essendo una vita più “a rischio” di altre, la medicina moderna ha scoperto e mette in atto una serie di provvedimenti e di procedure che in alcuni casi riducono il rischio, in altri lo prevengono. Per non illudere o ingannare nessuno, occorre essere realisti: non esiste la possibilità per nessuna donna di eliminare del tutto il rischio di un tumore ginecologico. Diffondere notizie che alludono (o aprono irragionevoli prospettive) a questa pretesa possibilità della tecnologia biomedica costituisce un atto di irresponsabilità culturale e sociale.
Ci chiediamo quale senso clinico ed epidemiologico abbia la selezione genetica degli embrioni umani. Sembra più un complicato gioco tecnologico che una reale apertura verso nuove prospettive di prevenzione oncologica generale. Peccato che questo “gioco” comporti l’eliminazione di essere umani all’inizio della loro vita. L’eliminazione dei “difettosi” è il volto disumano dell’eugenetica di sempre: quella totalitaria di ieri e quella liberale di oggi, che sembra trovare nell’alleanza con la procreatica uno sviluppo foriero di preoccupanti, azzardate avventure sperimentali.