Con l’iscrizione del ministro Sacconi nel registro degli indagati da parte della Procura di Roma si chiude nel modo più surreale un altro capitolo della tragica vicenda di Eluana Englaro. Vediamo di fare il punto della situazione.

La lunga battaglia giudiziaria di Beppino Englaro sembrava essere arrivata al termine lo scorso luglio, con il decreto della Corte di Appello di Milano che autorizzava la sospensione della nutrizione ed alimentazione artificiale, descrivendo con dovizia di particolari le modalità, i criteri e i dettagli di tipo medico con cui tale interruzione si poteva effettuare, specificando che ciò avvenisse “in hospice o altro luogo di ricovero confacente”.



Ed è intorno a questi due punti che si è arenata la faccenda: l’autorizzazione e il luogo. Parlare di “istanza di autorizzazione all’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale”, significa che, appunto, tale interruzione si può effettuare, ma nessuno è costretto a farlo, tantomeno il Servizio Sanitario Nazionale. E l’espressione “luogo confacente” non indica necessariamente le cliniche o case di cura del Servizio Sanitario Nazionale, pubbliche o private che siano.



In altre parole, il decreto della Corte di Appello permette, ma non obbliga a staccare il sondino: chiunque si offra lo fa perché se ne assume la responsabilità personale e morale, non certo perché si tratta di un ordine che va eseguito.

I responsabili degli hospice, dal canto loro, non hanno apprezzato di essere stati chiamati in causa dai giudici: è noto che queste strutture si occupano di malati terminali, mentre Eluana non lo è (se la donna stesse per morire, tutta la faccenda non avrebbe motivo di essere). Per questo motivo hanno buone ragioni nel rifiuto a ricoverarla.

L’atto di indirizzo del ministro Sacconi, quindi, rivolto al Servizio Sanitario Nazionale, non confligge direttamente con la sentenza dei giudici, ma si pone su un altro piano: oltre che ad un parere del Comitato Nazionale di Bioetica (il massimo organismo consultivo in materia, che dipende direttamente dalla Presidenza del Consiglio), si rifà ad una Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite, quella per i diritti dei disabili, che l’Italia ha firmato nel marzo 2008 e che è stata approvata dal Consiglio dei Ministri il 28 novembre scorso.



Il comma F dell’art.25, quello citato nell’atto di indirizzo, che vieta la sospensione di idratazione ed alimentazione ai disabili, è stato inserito nel testo della Convenzione dopo la morte di Terry Schiavo, proprio per evitare che orrori del genere si ripetessero.

Denunciare di violenza privata aggravata il ministro Sacconi, che ha solo invitato le regioni ad applicare una convenzione internazionale nel nostro paese, è quanto di più ridicolo si possa fare, oltre che un grave errore nei confronti dell’opinione pubblica: dove sarebbe la violenza privata aggravata nell’atto di indirizzo e nella seguente frase, pronunciata da Sacconi e segnalata come uno scandalo nella denuncia dei radicali: “se ci fossero comportamenti difformi da quei princìpi (dell’atto di indirizzo ndr) determinerebbero inadempienze, con le conseguenze probabilmente immaginabili”? Questa sarebbe una frase minacciosa, violenta, un diktat tale da chiamare in causa il diritto penale (perché questo significa l’iscrizione nel registro degli indagati)? E’ bene spiegare che la Procura della Repubblica avrebbe potuto archiviare il caso, e non procedere contro Sacconi. Ha invece deciso di proseguire mascherandosi dietro “l’atto dovuto”.

Con questa denuncia, i radicali hanno valutato che valesse la pena chiedere ancora una volta l’appoggio dei magistrati, perché quando non si hanno armi politiche, quando non si riesce a creare il consenso, quando gli elettori hanno espulso dal parlamento chi ha sostenuto posizioni laiciste, non resta che rivolgersi alla magistratura. Un tempo c’era il povero mugnaio che, di fronte alla prepotenza del re di Prussia, aveva esclamato: “Ci sarà pure un giudice a Berlino!”. Oggi i radicali denunciano un ministro che cerca solo di applicare una normativa internazionale a tutela dei disabili e di salvare una vita umana, facendo un ragionamento un po’ diverso: vuoi che non ci sia un giudice di parte, a Berlino?

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