Divampa la polemica intorno al ddl della maggioranza sul testamento biologico. A più riprese, dalle pagine dei giornali, Umberto Veronesi ha accusato di incostituzionalità il testo, soprattutto in merito all’impossibilità di decidere su alimentazione e idratazione. La scelta del paziente, infatti, secondo il ddl, riguarderebbe solo le cure; e non essendo considerate cure l’alimentazione e l’idratazione, su quelle dovrà essere stabilito per legge che non è lecito intervenire.
Aldo Loiodice, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Bari, giudica del tutto infondati dubbi in merito a questo punto.
Professore, se il testo passasse non ci sarebbe più nessuna possibilità di scegliere in merito all’alimentazione e l’idratazione somministrata in modo artificiale, come accade nel caso di Eluana Englaro. Cosa ne pensa dei dubbi di costituzionalità mossi contro questo aspetto?
Penso che non ci sia nessun dubbio. L’alimentazione e l’idratazione non costituiscono un trattamento sanitario, ma una normale componente della vita, in qualsiasi condizione, sia in salute che in malattia. Non possono considerarsi trattamenti terapeutici, e non essendo tali, ne consegue che non sono disponibili. O meglio, sono disponibili solo in termini quantitativi e qualitativi; ma non posso decidere di non assumere cibi. Altrimenti è come se si stabilisse il diritto di cadere nell’anoressia. Il problema deve dunque essere ribaltato: è proprio nel rispetto della Costituzione che rendo indisponibili l’alimentazione e l’idratazione, per evitare che si mettano in discussione le componenti essenziali della vita, che è diritto costituzionalmente garantito.
Quali sono dunque i paletti entro i quali interpretare l’articolo 32 della Costituzione?
Il paletto deve essere dato dal fatto che il comportamento in merito al quale il singolo può scegliere dev’essere strumentale al miglioramento della salute in caso di malattia. Deve cioè essere, in termini semplici, una terapia. L’alimentazione serve semplicemente per stare in vita, quindi non può rientrare nella casistica contemplata: riguarda cioè la qualità della vita e il mantenimento in vita, che sono cose diverse rispetto alla cura che si fa per tornare in salute.
Nel dibattito sul testamento biologico si parla molto di consenso informato: come può essere affrontato questo nel caso in cui la persona interessata non sia più in stato di coscienza?
Il consenso informato deve essere contestuale al trattamento che si fa, e non può mai essere preventivo. Non posso dare un consenso da qui a dieci anni, quando cioè la medicina sarà profondamente cambiata: il mio consenso potrebbe riguardare una cura che ora ha determinate implicazioni, più o meno gravi, e che magari invece tra dieci anni può essere amministrata in modo molto più semplice di adesso. Altrimenti avremmo un acconsentire rispetto a futuri eventi che uno non conosce, rispetto ai quali dunque non esiste informazione.
Quali conseguenze può avere l’iter legislativo in corso sul caso Englaro, e in particolare sulla sentenza che già è stata emessa?
In via di principio le leggi valgono solo per il futuro, quindi non dovrebbe andare a incidere su questo caso. Però rimane aperto il fatto che, se nel momento in cui entrerà in vigore la legge Eluana Englaro dovesse essere ancora in vita, allora si potrebbero anche riaprire le procedure, e vedere se quella legge può o meno essere applicata. Bisognerà dunque attendere per vedere se la legge avrà o meno i requisiti. A prescindere da questo, comunque, non si potrà mai obbligare una persona a intervenire su di un’altra per farla morire. E questo vale anche per le amministrazioni, che possono rifiutarsi di fare questo.
Eppure il Tar della Lombardia ha dato ragione a Englaro, e annullato il provvedimento che conteneva proprio le indicazioni cui ora lei faceva riferimento.
Non conosco nello specifico le motivazioni per cui è stata presa questa decisione. Faccio un’ipotesi: potrebbe essere stato per tutelare la libertà del tutore in relazione al tutelato, dicendo che l’amministrazione non può intervenire in questo tipo di rapporti. A parte il fatto che comunque questa sentenza può essere appellata presso il Consiglio di Stato, resta il fatto che comunque l’amministrazione può rifiutarsi di eseguire quanto indicato. In quel caso il Tribunale amministrativo dovrà nominare un commissario ad acta, ma non potrà certo costringere l’amministrazione ad ammazzare una persona. Il Tar nominerà un medico e gli ordinerà di andare ad ammazzare quella persona. Bisogna poi vedere se riesce a trovarlo, e soprattutto se si vuole assumere questa responsabilità.
Con la sentenza ha secondo lei dimostrato di volerlo fare?
Distinguiamo: è facile scrivere queste cose su un pezzo di carta, un’altra cosa è poi assumersi la responsabilità di realizzarle. Il Tar dunque deve stare molto accorto nel fare un po’ l’originale e, diciamo pure, il protagonista per avere visibilità sui giornali. Il tutto sulla pelle del dolore di chi ha cuore questa vicenda, e soprattutto di chi ha a cuore Eluana. Non si può speculare sulle emozioni.