Era l’agosto 1995 quando un bizzarro foglio milanese – quattro pagine patinate, formato A3, tutto illustrato e a colori – faceva capolino al Meeting di Rimini con la copertina firmata da Giuliano Ferrara e la presentazione di Vittorio Feltri e Gad Lerner. Questo foglio settimanale si chiamava Tempi. Ed era stato partorito dalle menti di quattro tipi poco raccomandabili: due ex comunisti, un politico fresco di carcere, il sottoscritto.
Trascorsero cinque anni di dura e allegra bottega artigiana. Andavamo in Corso Magenta, pieno centro di Milano, come conveniva a quella mezza sporca dozzina di tiratardi e scapigliati che eravamo. Abitavamo nella notte un pied a terre, la nostra prima redazione (messaci gratuitamente disposizione da un amico commercialista), in compagnia di attrezzi del mestiere da reperto archeologico (due Macintosh 128k, una vecchia stampante ad aghi, tre telefoni fissi da anni settanta e nessun cellulare).
Allo scoccare del nuovo millennio, per grazia ricevuta da un Principe tuttora a cavallo, Tempi ottiene di essere scarrozzato, in abbinata gratuita settimanale, con il Giornale di Paolo Berlusconi. È andata così fino a oggi, giovedì 1 ottobre 2009. Così, intendendo che tutto ciò che abbiamo ottenuto è stato ottenuto a spese e sudore della edizione Tempi Duri srl, poi, dal 2008, scioltasi per consegnare il settimanale a una cooperativa di giornalisti.
È importante sottolineare che nei suoi primi quindici anni di vita, Tempi non ha pescato una lira né alla greppia dei sussidi governativi alla stampa, né tra i partiti politici, ma è vissuto e si è ampliato, passando dalle 4 pagine formato A3 del primo numero alle attuali 64 formato magazine, grazie alla raccolta pubblicitaria realizzata in proprio.
Da giovedì 1 ottobre Tempi si mette in mare aperto (eccetto che in Puglia, Napoli città, nelle isole Sardegna e Sicilia, dove per il momento continuerà l’abbinata col Giornale) e andrà alla conquista di un suo proprio lettorato. Ciò significa che Tempi sarà in edicola (e resterà in edicola tutta la settimana, a partire dal giovedì) al prezzo di copertina di 2 euro.
Chi ce l’ha fatto fare in questo momento di drammatica crisi economica, di caduta verticale delle vendite dei giornali e di guerra tra corazzate editoriali?
Primo: la disperazione. O meglio. La speranza di riportare i costi della stampa di un giornale patinato, tutto a colori, 64 pagine di foliazione, che fino all’anno scorso veniva distribuito in 150mila copie come free press, entro l’ambito di una produzione dimensionata e mirata a un lettore non generico e non volatile.
In altre parole, se per dieci anni abbiamo pagato un prezzo abbastanza salato per raggiungere l’obbiettivo di far girare il più possibile le nostre idee e cominciare a farci conoscere al grande pubblico, oggi, allo stesso prezzo (parliamo di un prodotto che costa intorno ai 5milioni di euro anno) puntiamo a costruirci una rete di lettori a pagamento che consenta, da una parte di valorizzare la testata, dall’altra di misurarci finalmente col mercato.
Secondo: andiamo in edicola perché non c’è altro modo di sapere se questa impresa è capace di stare sulle proprie gambe, oppure no. In altre parole ci rimettiamo alla sentenza del lettore.
Cosa ci dà speranza? Su cosa puntiamo? Puntiamo sulla giovanissima squadra di giornalisti che abbiamo allevato in questi anni. Ci danno speranza gli oltre seimila abbonati paganti che ci hanno dimostrato una fedeltà e un’affezione straordinari. Pensiamo che, ancora una volta, saranno loro la pietra angolare e il volano di Tempi.
Il nostro “progetto editoriale”, “politico”, “culturale”? Non esiste. Non è mai esistito. Da cosa nasce cosa. Da incontro nasce incontro. Questa è stata la nostra barbara filosofia dei nostri primi 15 anni di vita. Tempi è quello che leggete ogni settimana. Sono idee non preconfezionate, ricerca di persone dal pensiero non conformista, tentativo di parlare seriamente non dei tic della politica e delle pappagorge delle élite, ma di tutta la vita di tutta la gente.
Perciò, anche se abbiamo pagato e paghiamo lo scotto di non essere nel centro che governa la testa dei giornali (Roma, i suoi Palazzi, i suoi contatti politici, le sue suggestioni gossippare, i suoi teatrini apicali), confidiamo nel fatto che da Milano, dove Tempi ha il suo quartier generale, continuino a passare le idee e le imprese che hanno fatto e fanno la storia italiana.