Si sa, quando si è giovani si va un po’ dove si vuole. E anch’io, nel mio piccolo, quando fui giovane e certe cose erano ancora legali, me ne andavo in compagnia di altri studenti universitari a racimolare qualche soldo all’ospedale Vialba.
Può darsi che la cosa capitasse anche altrove, ma per quel mi riguarda, sapevo – e ci organizzavamo all’uopo per questo – che al Vialba (e in Svizzera) si era pagati lautamente per testare pilloline per sole donne. Che poi fossero solo maschi quelli che in cambio di un tot di lire prendevano una nuova pillola per le mestruazioni e ne verificavano gli effetti in una serie di autoprelievi di sangue, non ho mai capito perché.
Mi torna in mente questa storia d’altri tempi (fine anni Settanta), pensando al laboratorio di pillole e sperimentazioni che è diventato oggi il corpo umano, e specialmente quello della donna. In secondo luogo, mi è venuta in mente pensando a come i cosiddetti corsi per l’affettività – o educazione sessuale che dir si voglia – sembrano fatti apposta per preparare i nostri figli e le nostre figlie a diventare modelli acritici di questi corpi-macchina, corpi-laboratorio, corpi-miniera, dove si sperimenta ogni sorta di pillolame e prodotti farmaceutici. Come è noto è vietato avvelenare fiumi e sorgenti naturali. Ma siamo sicuri che è vietato avvelenare i figli e le sorgenti dell’uomo?
Prendete le informazioni che si passano nel mondo della scuola e, soprattutto, nel mondo della scuola media inferiore (ragazzini e ragazzine di età compresa tra i 10 e i 13 anni) su come è importante vestire il preservativo e come siano importanti le pillole del giorno prima, del giorno dopo, di dopo domani e, se proprio non funziona né la prima né l’ultima, la pill kill Ru486.
Direte: esagerato! Ma insomma, cari genitori, se non ci credete provate a informarvi, come abbiamo fatto noi di Tempi, su cosa e come insegnano la cosiddetta “educazione sessuale” o “educazione all’affettività” nelle scuole di stato. Anzi. Quasi sempre fuori dalle scuole. Nei progetti pagati dalle amministrazioni pubbliche e, come succede in Toscana, sotto la direzione di ginecologi tipo – cito il sito radicale LiberaPisa – l’«interlocutore prezioso, il dottor Massimo Srebot dell’Ospedale di Pontedera, che ha “ideato” un percorso alternativo a quello della sperimentazione portato avanti dal dottor Silvio Viale a Torino, ossia il ricorso all’importazione dall’estero del farmaco RU-486». Insomma, i fan dell’aborto chimico oggi salgono in cattedra e sono pagati con i soldi pubblici per “educare all’affettività e alla sessualità” i nostri ragazzi.
Ringrazio gli autori de “L’Italia sul 2” che martedì 13 ottobre (attorno alle 14:30), su questo tema mi hanno concesso di fare una “provocazione” agli ospiti in studio. E la provocazione, detta in soldoni, si risolve nei seguenti interrogativi: vi sembra normale, giusto, intelligente, che nella scuola italiana di oggi l’educazione all’affettività e al sesso sia medicalizzata e sottratta all’alleanza insegnanti-genitori (poiché questi corsi prevedono l’esclusione di ogni adulto che non sia l’esperto ginecologo o Asl)? Vi sembra logico che a un/a ragazzino/a di 10 anni venga spiegata l’importanza del preservativo e della fellatio?
Dico che mi parrebbe una stupidaggine che l’Italia finisse come la Gran Bretagna, dove il ministero della Sanità invia ai teenager depliant in cui spiega quanto fa bene alla salute del miocardio fare sesso e masturbarsi un certo numero di volte la settimana. Farà pure bene al miocardio, ma anche l’occhio, la mente e il cuore vogliono la loro parte. O no?
La realtà umana, infatti, pare ancora dimostrare che l’affettività non coincide automaticamente col sesso e che, d’altra parte, il sesso è una dimensione della persona umana che non è immediatamente tecnica, né moralistica, ma è nell’ordine di un fenomeno che genera attrattiva verso l’altro, fa piacere e, nell’unione tra sessi diversi, produce anche quel fenomeno che, se si vuole stare ai dati di realtà, non si dovrebbe ritenere propriamente secondario e che si chiama procreazione.
Capiamo bene tutti, a causa della confusione e della promiscuità che oggi regnano incontrastati da ogni pulpito, le esigenze dell’igiene e della profilassi sociale. Ma limitarsi all’igiene e alla profilassi sociale non è un po’ poco? L’ha capita così una mia amica professoressa. L’ha capita a tal punto che quest’anno, nella scuola media inferiore della periferia di Milano dove insegna, ha proposto al Consiglio dei docenti che i corsi di educazione sessuale non fossero più appaltati all’Asl, ma ad adulti, insegnanti, medici e persino a persone del Movimento per la vita.
A sorpresa il Consiglio dei docenti ha accettato la proposta. Indovinate chi si è opposto e, forte dell’appoggio di un certo sindacato, sta raccogliendo firme contro questa iniziativa? La professoressa di religione. Perché? «Perché gli esperti sono neutrali, mentre così si discriminano gli studenti».