Il funerale di don Giorgio Pontiggia ha avuto la stessa intensità, la stessa vibrazione umana, la stessa profondità dei gesti che lo hanno visto protagonista durante la sua esistenza terrena: è stato un gesto reale, e un gesto, come diceva spesso lui, porta dentro il significato di tutto. Così sotto il cielo plumbeo di Milano migliaia di giovani e di adulti hanno vissuto assieme a don Giorgio l’ultimo atto della sua vita e nello stesso tempo l’inizio di quella totale corrispondenza che Dio ha già compiuto in lui. Un gesto, il suo funerale, come li sapeva vivere lui, un gesto segnato in ogni sua movenza dalla Presenza del Mistero, un gesto capace di portare insieme la tensione dell’umano e tenerezza di Gesù. Che unità tra la vita di don Giorgio e il suo ultimo gesto umano! Al suo funerale ancora una volta don Giorgio ha fatto quello che ha fatto in tutta la sua vita, ci ha sfidati a riconoscere la presenza del Mistero, l’unica certezza che fa vivere con quella passione di cui lui ci è stato testimone e che oggi a lui chiediamo di aiutarci a fare nostra. È stato un giorno di grande letizia, la festa di un popolo che è diventato ancor più certo di ciò che don Giorgio ci ha sempre testimoniato, che Cristo vince sul nulla, e che vince ne siamo certi per l’umanità che fiorisce, come oggi era evidente nei canti, nella preghiera, nel silenzio, nell’intensità dell’affezione ad un amico, un grande amico.



(Gianni Mereghetti)

Di seguito pubblichiamo il testo delle lettere inviate in redazione da chi ha conosciuto e seguito don Giorgio in questi anni.

È il 16 luglio, e mi invitano a passare dieci giorni a Onno a casa di Don Giorgio Pontiggia, sono talmente emozionato che non sto neanche troppo a pensarci che mi fiondo in camera a preparare la valigia per partire. Sono tutto gasato e contento di partire, che sembro la persona più felice del mondo, ma quando arrivo a casa da Don Giorgio, vengo a sapere che lui non poteva stare con me per tutta la vacanza a parte gli ultimi quattro giorni. Allora inizio a vivere a pieno questa fantastica avventura, e sono talmente preso che appena arriva Don Giorgio mi commuovo e lo abbracci piu forte che mai!! purtroppo però le condizioni di Don Giorgio peggiorano sempre di piu, così Don Giorgio ci deve lasciare e torna a Milano in ospedale. Dunque passano i giorni e mi affeziono sempre di più a quell’uomo che anche se per pochi giorni, ha vissuto con me facendomi da padre. Cosi arriva l’ultimo giorno e anche se triste parto e tornando a Milano mi accorgo sempre di piu della fantastica opportunità che ho vissuto in quei fantastici giorni, così tornato da Onno, mi prometto di provare a vivere come mi aveva insegnato Don Giorgo, e così passa l’estate. Finalmente inizio la scuola, la IV ginnasio del liceo classico, al Sacro Cuore. Passano tre settimane, e mi sento un Dio, vivo con superficialità le cose, pensando di essere il protagonista di tutto e tra tutti, fino a quando sento l’amarissima notizia della situazione di Don Giorgio, è in ospedale, e sta sempre più male,allora prometto a me stesso di andarlo a trovare in quei giorni. La promessa con me stesso alla fine non la compio, così arrivo al 18 ottobre, e Don Giorgio entra in coma irreversibile, mi crolla il



mondo addosso, il padre a cui ero affezionatissimo, c’è, ma non c’è, questa è una situazione difficilissima, così ogni volta che penso a mio padre (Don Giorgio) inizio a piangere, e non mi fermo più. Allora decido di andare a vederlo per l’ultima volta, è li, nel suo letto, che fa fatica a respirare, mi si stringe il cuore, non ce la faccio, allora scappo e scendo le scale, non può essere vero, è un incubo, un bruttissimo incubo, purtroppo non era così. Passa la notte ed è il 19 ottobre, vado a scuola e mi diverto tantissimo, tenendo presente che mio padre era li, che stava per andare a trovare Cristo, Colui che aveva amato per tutta la sua vita.Passano le cinque ore di scuola, vado a pranzo, e insieme ad alcuni miei amici decido di andare astudiare in sede di GS, così mi incammino, fin quando squilla il cellulare di una mia amica vicino a me, finisce la telefonata, e mi guarda e mi dice, mi spiace non ce l’ha fatta! Si ferma il mondo attorno a me, non ci credo, non posso crederci, e allora corro a casa di mio cugino Pietro e scoppio a piangere, mi sorgono un sacco di domande, non è possibile, mi sembra scoppiare la testa e il cuore lo abbraccio sempre piu forte, sempre piu forte e insieme decidiamo di andare al Sacro Cuore a salutarlo, saliamo in motorino, e non mi sembra possibile che il mondo vada avanti ance senza di lui.Sono tristissimo, sono a pezzi. Vado in chiesa a pregare esco e piango ancora, sto li per due ore e mezza. fino a quando decido di tornare a casa. Mentre mi incammino mi chiama una mia grande amica, nonchè la nipote di Don Giorgio, mi chiama, e la sento felice, lieta e non me ne do spiegazione, ad un certo punto lei mi dice: “Sai Simo sono stata li con lui fino alla fine e non ce l’ho fatta, sono scoppiata in lacrime e abbracciando così la mia vecchia prof. delle medie, che mi dice, lascialo andare, lascia che si compia il suo destino, e allora mi rendo conto che lui stava andando ad incontrare Colui che ha sempre amato, e per il quale ha vissuto, così ora sono lieta, felice, e penso a lui in paradiso dal Don Giuss. Così capisco quello per cui lui ha vissuto, è stato consumato dalla vita fisicamente e mentalmente, per compiere il suo destino ed arrivare a Cristo, che di sicuro, lo ha già accolto a braccia aperte, e sono li loro due con il Don Giuss che giocano a carte e si divertono e ci guardano. E’proprio questo che mi da sicurezza, la certezza che lui è li che mi guarda e mi aiuta dall’alto, ora più che mai! Ora mio padre è li che mi guarda e che mi aiuta, ora più di prima!



Simone

«È morto, è  morto dieci minuti fa..» mi ha detto Gloria quel pomeriggio del 19 ottobre. Quello che mi colpisce è che proprio la persona che me lo ha fatto incontrare è stata quella che mi ha detto che Giorgio era passato a miglior vita. Il mio incontro con don Giorgio è stato semplice e determinante, un mio grande amico Pietro aveva dei problemi familiari e così un giorno Gloria mi ha portato da don Giorgio per parlarne con lui, egli mi ha detto che Pietro sarebbe potuto venire a vivere da me che la mia famiglia era d’accordo e ora dovevo dire io se volevo questa cosa o no. La mia risposta fu un semplice sì era difficile dire no a don Giorgio! Poi Pietro risolse i suoi problemi ma iniziò una grande amicizia tra me, Pietro e don Giorgio.Gli anni seguenti ci portò a Onno e lì ci insegno a diventare uomini!un giorno don Giorgio ci comunicò che doveva andare a Milano e ci lasciava soli a Onno per un giorno, la mia camera era esattamente sopra la sua così preso dalla foga decisi di salire e con i miei amici incominciammo a saltare sul letto senza alcuna ragione..Quando siamo scesi don Giorgio era Li, aveva avuto un problema e non era potuto partire anzi era andato in camera a riposare, ma quel giorno sopra c’eravamo noi che saltavamo come dei forsennati, non mi sono mai dimenticato la sua faccia e le sue parole di quel giorno, mi ha letteralmente ucciso uno e forse anche due timpani. La bellezza di don Giorgio era proprio questa se ti doveva dire una cosa te la diceva,era un rapporto sincero ti voleva bene in tutte le tue sfaccettature e quindi non te ne lasciava passare nemmeno una! L’anno scorso sono andato da lui per dirgli che volevo cambiare scuola e che la mia vita mi faceva schifo. Appena entrai nel suo studio mi chiese come andava io gli risposi che la scuola stava andando male e volevo andarmene via, lui si arrabbiò un’altra volta e mi disse che il mio termine di paragone non doveva essere la scuola ma se io vedevo Cristo o no in quello che facevo. Poi, non contento, mi chiamò anche a natale e mi disse di vivere il natale come i pastori che sapendo che Cristo era nato hanno deciso di abbandonare tutte le loro preoccupazioni o, come le chiamava lui, menate e si sono messi a correre verso la mangiatoia e verso quel bambino unico significato di tutte le cose! Don Giorgio mi ha insegnato veramente tante cose e soprattutto mi ha insegnato a dire sì alla vita. Oggi farò il servizio d’ordine al suo funerale perché voglio dire sì completamente a questo gesto proprio come lui mi ha insegnato!

 

Federico

 

Gli anni di rapporto intenso, praticamente quotidiano, sono stati 17, e sarebbero stati molti di più se, grazie al gusto di dedizione che mi hai istillato con il tuo esempio, non avessi accolto l’invito di partire per Mosca per lavorare e anche sostenere la nostra piccola comunità (tu ti arrabbiasti di brutto, ma tra le righe del tuo sguardo si vedeva che ne eri orgoglioso!). Le lotte a scuola negli anni ’70, la caritativa all’oratorio, la Messa quotidiana delle 7.30 e il successivo caffè ai tempi del CLU, le mille gite come accompagnatore (maestro di sci, guida alpina, capo ciclista, preparatore alla prima comunione, allenatore di calcio femminile…) al Sacro Cuore, il doposcuola e poi l’insegnamento alle medie (proprio tu mi avevi convinto a non smettere di studiare e poi a fare lettere), la strana avventura della nascita del Graal quando ci chiedesti di realizzare il sogno della tua giovinezza, fare qualcosa per i ragazzini delle medie… Come già testimoniato da molti, col Suo nome perennemente sulle labbra mi hai tirato fuori dal fango, mi hai ripulito, mi hai rimesso in carreggiata, dato una pedata nel di dietro e gridato (che tu non parlavi) “Muoviti, Giovanni, che Gesù ha un maledetto bisogno proprio di te!”.

Don Giorgio, volevo raccontarti una cosa che sicuramente saprai già. Ieri ai bambini di seconda elementare della mia scuola cantavo “La canzone dell’alfabeto”. Erano stanchi (è un corso pomeridiano), facevano casino. Quando sono arrivato alla strofa “P è la paura di volersi bene” il tuo ricordo mi ha sorriso, allora ho abbandonato la correttezza metodologica, che vorrebbe l’uso il più limitato possibile della lingua madre del discente, ho travolto il mio proposito di non soffermarmi sui termini astratti e ho raccontato, nel mio russo ormai fluido ma ancora impreciso, che sì, a volte ti prende quella paura perché voler bene vuol dire non aspettarsi niente in cambio, vuol dire ridere con chi ride e piangere con chi piange e non un giorno o due, ma per sempre, e spesso non ci si riesce. Ma se si arriva alla strofa “T è dir ti voglio tanto tanto bene”, si capisce che è meglio, che voler bene e più bello, si è più contenti, soprattutto se c’è qualcuno che è capace di amarti così, per quello che sei, e per sempre.

Don Giorgio, volevo solo dirti che mentre ti guardavo i bambini si sono calmati, rasserenati e a loro volta mi hanno guardato sorridendo.

 

Giovanni

 

Da poco don Giorgio è spirato, l’ho visto morire davanti ai miei occhi, da poco abbiamo cantato con le persone che lo assistevano il "Non nobis", sono seduto davanti al suo cadavere e mi chiedo, ma «cosa è questo per me?», «cosa è stato per me?». Mi passa davanti la mia vita : la giornata d’inizio d’anno di Gs del 1981 quando l’ho visto per la prima volta e il fascino che da subito ha suscitato in me, le vacanze di Gs preparate insieme, i suoi immancabili “cazziatoni”, alcune decisioni importanti nella mia vita prese insieme, i ragazzi che abbiamo visto crescere insieme, i momenti di fraternità con lo Studium Christi, i suoi modi di fare bruschi, ma mai senza una ragione. Ma tutto questo non mi basta. La domanda non mi lascia «Chi è lui per me ?», non solo «Cosa è stato per me ?», ma da «Adesso che non c’è più cosa è per me?». È un segno – mi rispondo- , solo un segno, ma un segno! Un incredibile segno del Suo Amore per me, un formidabile testimonianza di quel Disegno Buono che è scritto per ciascuno di noi, una roccia che mi rende evidente che cosa vuol dire che Dio è Padre. Proprio in quel momento sento dentro di me la sua voce che mi dice: «Ma Giorgino, cosa stai lì a piangere Io non sono questo cadavere. Adesso sto giocando a carte con don Gius e gli angeli! Cerca di essere figlio e non discepolo». Ci continuava a dire, riprendendo quello che diceva don Giussani, il discepolo ripete un discorso, magari anche bene, il figlio continua l’opera del padre, così come è lui, con la sua personalità portando qualcosa di suo, perché ha fatto sua l’opera del padre. Per tutti noi che lo abbiamo conosciuto e per chi gli è stato vicino, come me, nel seguire i ragazzi quello ci dice e ci chiede adesso don Giorgio penso che sia proprio questo.

 

Don Giorgio Assenza