“Viva la libbertà di informazzione”, dietro lo striscione, tra falci e martello, cartelli inneggianti a Piazzale Loreto e alla D’Addario uno stralunato Franceschini, lo scheletro di Fassino e il compagno Stalin. Di Pietro e D’Alema indossano uniformi da gerarca fascista, mentre, sullo sfondo, Berlusconi veste i panni di Mussolini appeso a testa in giù. Con questa vignetta, pubblicata da Panorama venerdì, Forattini ha espresso, senza lasciare spazio a fraintendimenti, tutto il suo “ironico” dissenso sulla manifestazione di Roma per la libertà di stampa. Lo abbiamo raggiunto per discutere dello stato di salute dell’informazione e della satira in Italia.



Forattini, non è stato leggero con gli organizzatori della manifestazione, non le pare?

Quella vignetta riassume il mio pensiero sull’argomento. In Italia non c’è un regime come vogliono farci credere certi signori, questo è il Paese più libero del mondo. Tirare in ballo la libertà di stampa per cercare di abbattere un governo mi è sembrato ridicolo. Chi urla, invece, fa parte di un regime ideale che vorrebbe venisse instaurato in Italia.
In piazza avrei dovuto scendere io con un cartello per la libertà di satira, non i miei persecutori (alcuni politici) o chi non mi ha mai difeso (l’Ordine dei giornalisti).



Ma nella sua lunga carriera di vignettista non ha sempre potuto ridicolizzare i politici e i partiti senza alcun problema?

Guardi, la mia carriera è disseminata di querele, ricevute dai politici della sinistra, sulla base, tra l’altro, del codice Rocco, il codice fascista sulla libertà d’informazione a mezzo stampa. La legge che condannava al confino i dissidenti di Mussolini, per intenderci. Una cosa senza senso perché la satira va al di là dell’informazione, non dico che abbia una libertà maggiore, ma non dovrebbe essere regolata da nessun articolo di legge o di codice.

Si spieghi meglio…



Per intenderci, se un giornalista dà del ladro a un politico deve dimostrarlo, altrimenti incorre nel codice penale, se invece un vignettista disegna quel politico con il sacco della refurtiva non deve dimostrare un bel niente: la satira è un’altra cosa. È quello che D’Alema non capì nel ’99. Mi querelò chiedendomi 3 miliardi per la mia famosa vignetta, uscita su Repubblica, nella quale era intento a ripulire con il bianchetto i nomi del dossier Mitrokhin. Ai tempi era Presidente del Consiglio ed era scoppiato il famoso scandalo sui politici, ambasciatori e giornalisti che per anni erano stati a libro paga dell’Unione Sovietica, ma in Italia quei nomi non uscivano mai.

E lei cosa fece dopo quella querela?

Avrei dovuto querelarlo a mia volta per “tentato omicidio” perchè chiedere 3 miliardi delle vecchie lire a un vignettista voleva dire farlo morire. Invece chiamai il direttore, Ezio Mauro, e gli dissi: “Buonasera, non mi difendete, me ne vado, arrivederci e grazie”. Così, senza chiedere niente, lasciai il giornale di cui sono uno dei fondatori.
Un caso singolare: penso di essere l’unico al mondo a essere stato querelato per satira, senza che la querela abbia colpito né il quotidiano che l’aveva pubblicata, né l’editore.

Poi però D’Alema la ritirò?

 

 

Certamente, dopo aver ottenuto che lasciassi Repubblica me lo ritrovai ad aprire una trasmissione di Santoro in cui dichiarava il suo pentimento. D’altronde doveva presentarsi alle elezioni. Cosa vuole che le dica? Vedere D’Alema manifestare in piazza per la libertà di stampa mi fa ridere, amaramente. La loro filosofia è sempre quella: “scherzate su tutti, tranne che su di noi”.
La realtà è che in Italia un politico può rovinare un giornalista sapendo benissimo che, anche se le querele non vanno a buon fine, le spese degli avvocati rimangono a carico del malcapitato.

Con Franceschini e Fassino però non ha mai avuto problemi di questo tipo?

Mi sembrano persone civili, li ho messi nella vignetta perché si prestano a queste cose. Devo ammettere che Fassino è stato l’unico comunista a chiedermi l’originale di una mia vignetta. Quella in cui D’Alema, durante lo scandalo delle banche, dichiara di non avere scheletri nell’armadio, dimenticandosi di lui.
Un altro che durante Tangentopoli alla sera mi mandava sempre il poliziotto a casa a prendere la vignetta era Di Pietro. Lo raffiguravo come un eroe a quei tempi, da quando è in politica invece lo disegno come un gerarca.

Nella vignetta ha trovato un posto anche a Stalin, certi fantasmi della storia non si decidono proprio a scomparire?

È il padre di cui i comunisti non si sono mai liberati. In Italia hanno commesso il tragico errore di non fare i conti con il proprio passato e con le vittime del comunismo. Se lo avessero fatto a quest’ora l’Italia sarebbe tutta con loro.

I politici della Prima Repubblica avevano maggiore senso dell’umorismo rispetto a quelli di oggi?

Sinceramente rimpiango personaggi come Fanfani, Andreotti o Spadolini. Io li colpivo duramente, ma non mi hanno mai querelato. Andreotti lo disegnavo con la coppola, per intenderci… a Craxi più di una volta ho fatto perdere le staffe. Una volta lo feci come topo d’albergo con in mano Repubblica, che ai tempi aveva indetto un concorso che si chiamava Portfolio, e la scritta: “Quanto mi piace questo giornale quando c’è Portfolio”. Beh, anche Fanfani si arrabbiava…
È da quei tempi che si è creato un equivoco: il potere era nelle mani della Dc e di Craxi, e si pensava che la satira, essendo contro il potere, non poteva che essere di sinistra. Purtroppo questa idea è rimasta anche con la sinistra al governo e la satira si è ritrovata con le armi spuntate.

A proposito di vignettisti di sinistra, c’è solidarietà tra colleghi, al di là delle convinzioni politiche?

Ma guardi, sono sempre stati carini con me, anche se non sono mai scesi in piazza per esprimermi solidarietà. Io penso a Guareschi come a un padre e credo di aver dato il mio contributo alla satira in Italia: ai tempi di Repubblica c’era un inserto, “Satyricon”, nel quale io davo il tema e gente come Vauro, Giannelli, Ellekappa o Vincino, iniziava a farsi notare. Stiamo parlando del ‘78. Chiusa quella parentesi loro hanno trovato posto altrove. Io, per la mia non appartenenza alla sinistra, non avevo copertura dalle querele e spesso sono stato etichettato come qualunquista, fascista, di destra, pagato da Berlusconi. Quelli che dicevano così forse non sanno che andai via anche da Il Giornale e fra un mese scade il mio contratto con Panorama (ci lavoro dal ’73). D’altronde capisco che avere un Forattini in redazione può essere un bel costo.

Per le spese legali?

Certo. Quando Berlusconi comprò Mondadori cominciò il bombardamento delle querele di molti personaggi che sognavano una vecchiaia felice. Il ritornello era: “tanto questo paga”. C’era un bel viavai della Guardia di finanza, l’ufficio legale della Mondadori era oberato di lavoro e spesso costretto sborsare cifre pazzesche.
Solitamente non sono molto simpatico agli uffici legali. Nei corridoi si inizia subito a vociferare: “perché dobbiamo rischiare così per quello lì che si diverte, lavora da casa, ci fa spendere un sacco di soldi…”.
Ma io sono così, non faccio satira per far gradimento all’editore o al direttore, mi rivolgo ai lettori. Quando la vignetta a Repubblica non andava bene mi rifiutavo di farne un’altra e gli dicevo “metteteci la faccia di Scalfari!”.