Sei mesi che sembrano un secolo. Sei mesi vissuti in situazioni difficili, disagiate. Sei mesi vissuti con il dolore nel cuore, con la paura che quella tragica scossa si possa ripetere. A sei mesi dal terremoto del 6 aprile la vita è tornata convulsa a L’Aquila. Se non fosse per gli evidenti segni, indelebili, che il sisma ha lasciato, se non fosse per i tanti posti di lavoro persi, si scoprirebbero cittadini capaci di reagire, vogliosi di guardare al futuro.
«Quella notte mi ha svegliato il rumore – racconta Donatella, ricordando quella notte – sono scesa dal letto per ripararmi sotto una trave. Dopo un secondo ho realizzato che dovevo andare nell’altra camera, dove c’era mio figlio. L’ho abbracciato, gli ho detto “Ora finisce, ora finisce”, poi è finito. Ma non c’era più silenzio, c’era molto rumore, che si combinava con mille altri rumori, poi gli allarmi che erano scattati, e i muri che cadevano. Poi le urla della gente, persone che ne chiamavano altre. Siamo scesi in strada, tutti mezzi svestiti, al freddo. Gente che chiamava, che non riceveva risposte. Tanta paura, paura che ci fossero nuove scosse. Poco dopo si sono visti i primi soccorsi, al buio non avevo chiaro che attorno a me c’era il peggio. Oggi ripenso alla casa dello studente, dove una mia amica aveva il nipote. Che oggi non c’è più».
A sei mesi impossibile dimenticare, impossibile non rivivere nella testa quegli attimi di terrore, di morte. Oggi riaprono gli uffici della regione, in queste ultime settimane oltre alle scuole, alla consegna delle prime case costruite in così poco tempo, si è visto un rifiorire di attività. Un tentativo forte di essere presenti. Ma ci sono tanti nuovi poveri, anche. Chi aveva una attività e ora non sa più cosa fare dove andare. Trattorie, bar, tabaccai che di giorno erano centro della vita del centro storico e che oggi non esistono più.
Oggi si guarda a Messina e si comprende il dramma di ogni persona, le difficoltà di chi ha perso tutto, di chi piange un parente o un amico. Oggi si guarda alla necessità di trovare alloggi per gli studenti, per consentire all’università di ripartire, ma, di conseguenza, all’economia cittadina di riprendere. Come ogni mese, anche oggi, ci sarà un momento di incontro, chi per protestare, chi per ricordare, chi per rivedersi.
Ci sarà chi uscirà dalla sua abitazione che non ha subito grandi danni, chi da quella che gli ha consegnato il 29 settembre Berlusconi, chi prenderà il pullman per arrivare all’aquila dalla costa e chi uscirà dalla tende. Sono più che dimezzate ma ci sono ancora intere famiglie che vivono in tendopoli. Ringraziano il tempo, clemente, rispetto agli anni passati, ma sanno che da un giorno all’altro girerà l’aria e la quotidianità sarà sempre più difficile. Secondo i dati dell’ultimo censimento condotto dalla Protezione Civile, sono quasi 9 mila le persone ospitate nelle 82 tendopoli ancora attive nei Comuni colpiti dal sisma. Slitterà così di alcune settimane la chiusura dei campi che era stata prevista per la fine di settembre. Rispetto al mese di luglio, quando sono iniziate le operazioni di smantellamento, sono 58 i campi chiusi e la popolazione assistita è passata da 20.167 a 8.799. A queste persone si aggiungono le 15 mila ospitate negli alberghi. Numeri grandi. Ma il peggio sembra essere veramente passato.
(Fabio Capolla – Giornalista de Il Tempo)