Nel nostro ultimo articolo sorridevamo intorno al gran ciacolare che si fa sul prossimo vertice di Copenaghen e mettevamo un po’ alla berlina la notizia dei fatidici “cinquanta giorni per salvare il clima” decretati dal più autorevole quotidiano italiano. In proposito suggerivamo di munirsi di più onesta informazione e raccontare come stanno sul serio le cose.
Prendiamo atto che, come ormai ci capita non di rado, avevamo ragione. Nei giorni scorsi il numero 1 dei potenti del mondo (secondo Forbes) ha incontrato il numero 2 e insieme hanno convenuto che “a Copenaghen sarà impossibile trovare una soluzione condivisa”. Ergo, come previsto, Usa e Cina (ma anche India e tutti gli altri cosiddetti paesi in via di sviluppo) non firmeranno nessun accordo vincolante in materia di energia ed emissione di gas serra. Era così difficile prevederlo?
La risposta naturalmente è: no, benché l’immaginario europeo sia invaso da una moltitudine di buone intenzioni e da troppe cattive divagazioni in tema di apocalissi climatiche, nessuna piccola e grande potenza mondiale è nelle condizioni di seguire l’Europa su questa china.
D’altra parte cos’è oggi l’Europa se non un Vecchio Continente di pensionati e di cittadini che vivacchiano sulle provvidenze statali e le azioni in Borsa, sui risparmi in banca e le case di proprietà? Molto meno di un gigante dai piedi di argilla, l’Europa è oggi un paese per vecchi e una piattaforma di approdo di immigrati. Questi sì con l’attitudine e la determinazione a diventare protagonisti della futura Unione che andrà dall’Atlantico agli Urali.
Altro paradosso: non è singolare che secondo la classifica stilata da Forbes l’uomo più potente d’Europa sia Silvio Berlusconi, il politico più perseguitato dai nostri illustri pm e il più criticato dai soloni dell’Unione degli scrittori, giornalisti e intellettuali della sinistra europea? Anche qui la realtà insegna che Europa è diventato sinonimo di provincia politicamente irrilevante a livello internazionale e di spazio mentale ristretto, ripiegato sulle proprie fissazioni, organizzato nella celebrazione della propria vanagloria.
Altro esempio? Sono appena rientrato dalla Russia, paese grande una decina di volte l’Europa e con metà della popolazione europea. Bene, la nostra grande stampa democratica è sempre lì a fare le pulci a Vladimir Putin e alla sua politica che dalle nostre parti definiscono immancabilmente come corrotta e autoritaria. Quanto alla corruzione è chiaro, cosa potevi aspettarti dopo quasi un secolo di quel comunismo di cui molti europei sono stoltamente e ignorantemente nostalgici? Quanto all’autoritarismo: ma crediamo sul serio che il nostro modello democratico sia l’unico concepibile sulla faccia della terra?
In realtà tutte le contraddizioni della Russia – corruzione, oligarchia, autoritarismo, opacità politica ed economica – sono il retaggio di un passato di corruzione, oligarchie, autoritarismi e opacità che probabilmente non ha eguali nella storia del pianeta. Da questo punto di vista – eccetto naturalmente gli utopisti democratici che calcano i convegni berlinesi e sono collegati alla buona stampa occidentale – tutti in Russia riconoscono a Putin di aver già compiuto un miracolo nell’aver dato stabilità e un certo ordine (sì, anche quello del pugno di ferro nei confronti dei clan e dei feroci guerriglieri islamisti che devastano e tengono abbarbicate nella miseria le popolazioni caucasiche) a un paese che si estende dalle pianure del Don all’oceano Pacifico.
Nonostante ciò l’Europa rimane ferma sui suoi principi astratti, sui suoi compitini da primi della classe in materia di democrazia, al suo ditino alzato in tema di diritti umani. Non vede e non sente – se non per motivi di squisito ricatto geopolitco e di interesse economico – l’immane sforzo che sta compiendo un potere politico che, per quanto poco trasparente e ruvido esso effettivamente sia, è oggi l’unico che possa garantire alla Russia una transizione verso quella piena democrazia che lo stesso presidente Dimitri Medvedev ha appena evocato e auspicato nel suo secondo discorso alla Nazione tenuto dalla remota regione siberiana di Tuva.
E dire che nel suo discorso ad Harvard, orsono più di trent’anni, il grande Aleksandr Solzenicyn ci aveva avvertito di cosa si preparava all’Occidente nel momento in cui si fosse affidato alla fede cieca nei principi astratti del diritto e dei diritti individualistici. Non lo abbiamo ascoltato, e ora eccoci qua a combattere la difficile impresa della libertà in un Continente di leader politici senza qualità e di gente preoccupata più della “buona morte” che della buona vita.
Tutto ciò accade, ammoniva profetico il grande Nobel della letteratura e della libertà, poiché «in conformità ai propri obiettivi la società occidentale ha scelto la forma d’esistenza che le era più comoda e che io definirei giuridica. I limiti (molto larghi) dei diritti e del buon diritto di ogni uomo sono definiti dal sistema delle leggi. A forza di attenersi a queste leggi, di muoversi al loro interno e di destreggiarsi nel loro fitto ordito, gli occidentali hanno acquisito in materia una grande e salda perizia (ma le leggi restano comunque così complesse che il semplice cittadino non è in grado di raccapezzarcisi senza l’aiuto di uno specialista).
Ogni conflitto riceve una soluzione giuridica, e questa viene considerata la più elevata. Se un uomo si trova giuridicamente nel proprio diritto, non si può chiedergli niente di più. Provate a dirgli, dopo la suprema sanzione giuridica, che non ha completamente ragione, provatevi a consigliargli di limitare da se stesso le sue esigenze e di rinunciare a quello che gli spetta di diritto, provatevi a chiedergli di affrontare un sacrificio o di correre un rischio gratuito… vi guarderà come si guarda un idiota.
Io che ho passato tutta la mia vita sotto il comunismo affermo che una società dove non esiste una bilancia giuridica imparziale è una cosa orribile. Ma nemmeno una società che dispone in tutto e per tutto solo della bilancia giuridica può dirsi veramente degna dell’uomo. Una società che si è installata sul terreno della legge, senza voler andare più in alto, utilizza solo debolmente le facoltà più elevate dell’uomo. Quando tutta la vita è compenetrata dai rapporti giuridici, si determina un’atmosfera di mediocrità spirituale che soffoca i migliori slanci dell’uomo. E contare di sostenere le prove che il secolo prepara reggendosi sui solo puntelli giuridici sarà per l’innanzi sempre meno possibile».