La critica che a volte ci capita di leggere o di ascoltare alla rete di imprese, cooperative e associazioni che, attraverso la Compagnia delle Opere rinviano all’esperienza di Comunione e Liberazione riapre vecchie analisi, che, ragionando in termini di sistema, non riescono a riconoscere la rete estesa di potenzialità e di risorse che sono reperibili nella società civile, ogni qual volta che questa si imbatte in una proposta che i soggetti percepiscono adeguata alle domande ed ai desideri che si portano dentro.



Non sono al corrente della precisa galassia di opere e di imprese di cui si va raccontando. Non ho tuttavia nessuna difficoltà a prendere per buone tutte le informazioni diffuse e quindi a concludere che la “galassia Cl” – come del resto si deduce anche da una rapida navigazione sul sito della CdO – sia effettivamente una gran rete di imprese, cooperative, associazioni. Non faccio fatica a credere che molti dei responsabili di queste imprese – come spesso avviene per tutti coloro che hanno studiato in Bocconi – abbiano interessi consistenti anche in altre aziende. E non esito a concludere che sì, certamente, un simile livello di impegno, confortato da alti standard di qualità e di esperienza personale, intrecciati con la tradizione produttiva e la capacità imprenditoriale della regione più sviluppata d’Italia, possano aver maturato, dopo trent’anni di attività, reti e incroci, impegni e, in qualche caso, successi ragguardevoli, stupefacenti.



La rete estesa di attività e la sua capacità di svilupparsi non possono che stupire. Ma la domanda corretta non è di tipo giornalistico (chi la finanzia?) ma di tipo sociologico: quale principio e quale prassi la tiene in piedi, favorendone addirittura la crescita? Cosa permette di costruire una rete così vasta di attività e di iniziative tali da lasciare in penombra il ricordo del cospicuo potere della tradizionale Dc, i cui affluenti economici erano ben noti, ma la cui natura era radicalmente diversa?

L’idea che a tenere in piedi tutto questo sia opera di individui interessati solo al denaro e al potere e che per questo strumentalizzano persone o gruppi è scopertamente riduttiva e spesso c’è qualche commentatore che preferisce la scorciatoia della deriva della ragione e dell’abdicazione collettiva al senso critico, all’analisi di una realtà di mobilitazione del tessuto religioso cattolico intorno ad una proposta di mobilitazione che vuole in qualche modo verificarsi a tutti i livelli della vita sociale e non tollera quindi aree alle quali le sia negato l’accesso.



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Chi solitamente critica questo metodo ha ragione solo su di un punto: è difficile, molto difficile, farcela. È certamente più facile scaricare l’impegno dell’impresa ed i problemi della vita concreta ad altri, lasciando alla spiritualità dei credenti una semplice funzione consolatoria. Don Giussani, a suo tempo, la pensò in modo diverso. Non propongo soluzioni, sarebbe da presuntuoso, ma mi è d’obbligo presentare un metodo. È necessario quindi provare a collegare metodologicamente, accanto alla rete di aziende, quella delle imprese no-profit e del volontariato (non può non farlo perché tutte queste imprese fanno riferimento ad un’unica esperienza).

A chi desiderasse approcciare questo mondo, anche per raccontarlo, chiedo di controllare le biografie di quanti le hanno fondate e vi operano, magari intervistandone qualcuno di persona (come feci io, a suo tempo nel mio libro Comunione e liberazione). In particolar modo, gli chiedo di controllare l’esistenza delle attività di pura gratuità, elargite dalle stesse persone che hanno responsabilità economiche; gli chiedo di controllare il profilo professionale ed i livelli di impegno dei volontari, a tutti i livelli. Poi, una volta terminata questa fase, gli chiedo di prendere in analisi anche la dimensione spirituale (è collegata, non può non saperlo), andando ad osservare la spiritualità del movimento, controllandone i documenti che circolano (abbondanti!), vedere come sono diffusi, come sono letti. Gli chiedo di analizzarne il contenuto, perché quanti operano dentro la Compagnia delle Opere, li rileggono senza sosta, trovandovi ragioni costanti di riflessione e di conferma di ciò che fanno. Gli chiedo di completare l’analisi e, solo una volta completata, di interpretare la Compagnia delle Opere come parte di quest’insieme.

Una spiegazione è tanto più vera quanto più è completa e tiene conto di tutti i tratti della realtà. La narrazione puntigliosa di un lato della casa rischia di omettere le altre facciate, confondendo la natura di tutto l’immobile. A volte si finisce per descrivere una facciata, pensando che il resto della casa, semplicemente, non esista.