Chissà perché il Papa continua a ritornare sul tema delle radici cristiane dell’Europa. E chissà perché è normale che gli si faccia spallucce, anche se con il rispetto dovuto all’autorità dei suoi 83 anni. Si corre il rischio di essere un po’ naif, ingenui a dire certe cose. E se parli ancora di radici cristiane, più che ingenuo sembri fuori dal mondo.
Lo ha scritto in modo piacevolissimo Sergio Romano (il nostro ambasciatore scrive divinamente, chiaro e stringente) in un bell’articolo che copriva quasi interamente una pagina del Corriere della Sera di sabato scorso. Per dirla in soldoni, Romano prendeva spunto da un libricino fresco di stampe a firma del presidente della Camera, per salutare con favore la prospettiva di un centrodestra rinnovato dalla leadreship di Gianfranco Fini. Del quale, scrive l’ambasciatore, tutto è condivisibilissimo, specie il posizionamento in materia di diritti civili e immigrazione, eccetto, appunto, quella balzana idea delle radici. «Mi sorprende invece – scrive in conclusione il nostro Ambasciatore – che (Fini ndr) spezzi una lancia per rivendicare le radici cristiane dell’Europa. Ma è forse soltanto un omaggio ai nostalgici di una battaglia perduta».
In effetti, come dice quella profetica canzone di Claudio Chieffo a proposito della scimmia e dell’Imperatore? Dice che tempo verrà in cui ai nostri figli “diranno che tuo padre era un personaggio strano, un illuso, un fallito, un cristiano”. Diranno che la battaglia era perduta da un pezzo e che nemmeno il Papa se ne era accorto. Sic transeat.
Vi ricordate cosa disse agli iracheni il primo soldato americano fatto prigioniero durante la seconda guerra del golfo? “Sono venuto qui per fare il mio dovere. Mi avevano detto che qui c’erano le cose rotte e noi americani dovevamo venire qui a metterle a posto”. Le conseguenze della buona fede con cui fu condotta la guerra in Iraq sono a tutt’oggi sotto i nostri occhi e, così pare, ci resteranno per almeno un altro decennio di violenza e di lutti.
Senza radici cristiane, in giro per il mondo a mettere a posto le cose rotte. Non è per mettere a posto le cose che qui in Italia si sta combattendo una guerra senza esclusione di colpi? Una guerra a colpi di intrighi, spiate, squadernamento sui giornali di tutte le nostre peggio abitudini e pensieri. Ma, direte, è almeno una guerra che non si combatte (non ancora) sulla punta dei fucili.
Le pallottole che vogliono “mettere a posto le cose rotte”, “ristabilire la verità”, “rispondere alle domande” poiché “tutti devono sapere tutto”, sono fortunatamente (ancora) di carta. Anche se, ammettiamolo, il volto dell’avversario ormai merita di essere solo svillaneggiato e sfregiato. Già, in tutto questo a che serve il cristianesimo, siamo forse noi stessi, noi cristiani, “una battaglia perduta”?
Ecco, quando leggo certe cose che appaiono molto sensate e molto sagge al cospetto del buio in cui precipita il nostro mondo pieno di luci, così trasparente da non distinguere più un uomo da una medusa, mi viene da ripensare a quelle due persone di cui ogni tanto sento raccontare e di cui gli italiani risentiranno parlare tra qualche settimana. Quando per l’ennesimo anno consecutivo si rinnoverà quel grande gesto di popolo che è la raccolta della spesa per gli italiani più in difficoltà realizzata dal Banco Alimentare.
Ripenso a quel milione e mezzo di italiani che sopravvivono grazie ai pacchi che vengono consegnati loro ogni giorno da questo nostro generoso popolo. Poi mi ri-chiedo, ma come è successo? A chi è venuta questa brillante e semplice idea di raccogliere e distribuire ai poveri i generi alimentari in scadenza e la libera offerta di un sabato di spesa italiano al supermercato? Possibile che tutti i saggi, tutta la politica, tutti i grandi ambasciatori, esperti, economisti, insomma tutti i potenti messi insieme, non siano riusciti a fare quello che è stato fatto dall’incontro di due semplici uomini?
Forse qualcuno ricorderà che in Italia la storia del Banco Alimentare inizia vent’anni fa dall’incontro tra don Giussani e il dottor Fossati, patron della Star. Niente di speciale, nessun progetto, nessuna grande analisi, nessuna manifestazione di piazza. Niente, solo “radici cristiane” vissute ciascuno entro la propria vita personale. L’uno da educatore, l’altro da imprenditore. Si sono messi insieme, Giussani e Fossati, e hanno fatto della loro amicizia un volano che si è moltiplicato per amicizie e che ora raggiunge materialmente, molto materialmente, milioni di esseri umani come noi. Uomini, donne, bambini, che sono state raggiunti da cosa, se non da un cambiamento così visibile e reale da dar letteralmente da mangiare, bere, sopravvivere, a un milione e mezzo di persone?
È vero, sembra naif quello che dice il papa di Roma, ingenuo quello che testimonia un cristiano del Banco. Sarà naif e ingenuo, ma intanto è un cambiamento che si vede, incide e perciò talora è sorpreso come un divertente cascame, talora è semplicemente attaccato a sangue. Mentre tutti questi altri che si sbracciano e si “sputtanano” – lo giurano – allo scopo “di mettere a posto le cose rotte”, di quale tipo di cambiamento vi sembrano testimoni e segno?