Da laica, interpellata sul tema del crocifisso, devo dire che la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo rappresenta un campo minato. Ma mi sembra che non tutti riescano a comprendere la portata culturale di questo pronunciamento.

Prima che essere un simbolo religioso, il crocifisso rappresenta la cultura, la memoria e l’identità dell’Italia e dell’Occidente. E quando si arretra su questo terreno vi possono essere due pericolose derive: il laicismo e l’estremismo. L’Italia è sì uno Stato laico, ma il principio di laicità dello stato non deve diventare la bandiera di un laicismo sprezzante della cultura di tutta una civiltà.



Una sentenza simile presenta un grande deficit: non tiene conto del senso storico e della consapevolezza culturale di un’Italia che è stata, volente o nolente, l’incubatrice della Cristianità. Vorrei a tal proposito ricordare che i regimi totalitari del Novecento – nazismo nel suo periodo di ascesa e comunismo – hanno tentato di spazzare via i crocifissi dalle aule scolastiche e dalla storia europea, l’uno attuando la cosiddetta “guerra dei crocifissi”, l’altro tentando di cancellare Gesù Cristo dalla Storia dei Paesi dominati. In tal modo attuando un’operazione di de-semantizzazione e di conseguente distruzione del senso di una civiltà.



Se le moderne istituzioni democratiche europee si fondano sulla sconfitta dei totalitarismi del Novecento, non dovrebbe la Corte europea dei diritti dell’uomo considerare che le tragedie dello scorso secolo sono state provocate attraverso meccanismi di deprivazione del significato, nella sua accezione più squisitamente semantica, dell’identità culturale di popoli che ritrovavano il loro proprio senso entro la matrice culturale del Cristianesimo? È questo il vero pericolo, il maggiore, insito in una sentenza che intende negare attraverso un’interpretazione giurisprudenziale ciò che gli uomini e la Storia hanno costruito in millenni di civiltà: smarrire le proprie radici, erodere il proprio senso culturale, essendo così condannati alla lunga notte dell’oblio.



 

 

Se volessimo poi entrare in una disputa squisitamente giuridica, dovremmo considerare quanto dichiarato oggi dal Commissario europeo alla Giustizia, Barrot, che, tramite il suo portavoce, ha fatto sapere che, quanto alla presenza di simboli religiosi in edifici pubblici, «vige il principio di sussidiarietà, e dunque ricade interamente nelle competenze degli Stati membri». E che «la Corte Europea per i diritti dell’uomo non è un’istituzione europea. Inoltre non vi è alcuna normativa Ue che regoli la materia e anche le norme comunitarie contro la discriminazione escludono il riferimento ai simboli religiosi attribuendone la competenza agli Stati membri».

Non esiste storia senza memoria, non esiste una civiltà senza la manifestazione dei propri simboli, quando questi non ledano la persona, i diritti umani, la parità tra uomo e donna, e la sacralità della vita. Non bisogna permettere che il furore di un’ideologia nichilista ponga in serio pericolo l’identità italiana e occidentale.

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