Meno male che ha nevicato così tanto da farci sentire – almeno noi qui a Milano, almeno una volta in cui l’imprevisto non fu catastrofico – come i famosi angeli di Rimbaud, nelle mani di un barbiere. Nelle mani di uno spalatore che se non ha pulito bene quella rampa in fondo a Via Palmanova, non ce n’è, la tangenziale non l’acciuffi proprio. E magari resti incastrato per una notte dentro l’automobile (proprio come un qualsiasi senza casa).



E grazie a Dio, tutto poi torna a posto, grazie a un volontario della Protezione civile, che ti raggiunge in quella Thule che improvvisamente diventata la tangenziale dell’eterno andirivieni d’anime imprigionate in corazze a motore. Meno male che poi ti ha raggiunto quel ragazzo fasciato in una giubba giallo-fosforescente, portando un thè, una coperta, un panino al salame, a te che te ne stavi solo soletto, infreddolito, impaurito come un neonato fasciato in una corazza ghiacciata.



Meno male che sopra l’asfalto per una volta il copertone slitta e l’auto ondeggia di qua e di là (anche il Suv che hai provato per l’occasione ghiotta), come la carabina in cerca della leva giusta e del momento propizio per abbattere il capriolo che si muove leggero e danzante nel bosco (lo so, questo un esempio sbagliato).

Viaggiando su un treno pendolari non ho capito da che pianeta veniva una signora: “Pensate un po’ in che razza di paese viviamo, sono andata fino a Linate, mi hanno cancellato il volo”. Pensate in che paese viviamo. C’è il surriscaldamento planetario e qui, in questo angolino padano, pensate un po’, ha fatto mezzo metro di neve berlusconiana.



Meno male che c’è questa coltre bianca. Durerà un giorno, durerà due, durerà troppo poco. Ma, insomma che bello scherzo questo buttarci improvvisamente in un grande lettone gelido, tutti insieme avvilupati nella grande coperta bianca, isolati dall’appartamento che fino a ieri raggiungevamo in un batter di ciglio, meccanicamente, per gesto consueto e irriflesso. Adesso, tutto questo è diventato un po’ un problema. Un problema per quello che è stato preso dalla tormenta mentre andava in motorino. E zac, caduto per terra, col naso nel rigagnolo per colpa di non so che, (ma confido di scoprirlo leggendo Il Fatto).

 

Un problema per mia figlia: "Papà, sono dalla Emi, allora mi vieni a prendere stasera?", "A prendere? Stasera? Dormi fuori o torni a casa a piedi!" È inutile che ti arrabbi, figlia mia, guarda fuori dalla finestra e fatti venire un’idea migliore. Meno male che bastano tanti fiocchi di neve, in fondo solo acqua, nuvole e vento, a sorprenderci nella nostra ridicola posa di signorotti e giustizieri del mondo.

A ricordarci quanto siamo ridicoli, tromboni e scemi nel nostro urlacchiare "Voglio la verità! Voglio giustizia!" e tutto il resto che protesta di un complotto globale contro il mio diritto all’autodeterminazione, stante il quale, non venisse corrotto da una qualche Co2, eternità, plutonio o berlusconio, non dovrebbe cader foglia che io non voglia. Meno male che il manto di neve scende e copre ogni nostra rivendicazione, formando un vasto strato di soffice diaframma biancheggiante nella notte in cui si agita il nostro cuore.

E così ogni strepito, ogni presunzione, ogni chiacchiericcio viene attutito dalla bianca coltre mandata da cielo in terra a miracolo mostrare. Il miracolo che per una volta, un giorno, forse due, fa un attimo esitare tutta la nostra prosopopea di gente che la sa lunga. Meno male che c’è  sempre un momento del tempo, un momento che adesso viene trascinato via dalla pioggia e dall’uggia della temperatura che ritorna a salire, in cui il nostro camminare spedito e distratto costretto a chiedersi come farai a tornare questa sera a casa, dove sarà adesso tua figlia, come farò a mettere le catene e ad andare a fare la spesa senza taxi, proprio io che non ho mai fatto altro che l’esaminatore e il correttore di bozze della vita degli altri.

Meno male, caro Dio, che ti prendi così platealmente gioco di noi costruttori della post-moderna Torre di Babele. Di noi che scagliamo le nostre frecce contro il cielo e poi ci ritroviamo anche un po’ gli uni agli altri più vicini – come cerbiatti smarriti nella foresta metropolitana imbiancata.