Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Maurizio Cora, avvocato dell’Aquila sopravvissuto al terremoto che ha sconvolto l’Abruzzo nell’aprile scorso.
In quel disastro Cora ha perduto tutto: il terremoto gli ha tolto gli affetti più cari, portandosi via le vite di Patrizia, sua moglie, e delle due figlie, Alessandra, di 22 anni, e Antonella, di 27. Ilsussidiario.net ebbe modo di intervistarlo alla fine di quel tragico mese di aprile. A tre settimane dal terremoto, quando tutti avevano ormai imparato a convivere con le scosse d’assestamento, quando le strutture più a rischio erano ormai puntellate, e i campi di accoglienza funzionanti alla meglio, sia pur in mezzo al fango e nel freddo, e già si pensava come poter far vedere al mondo, che sarebbe venuto all’Aquila per il G8, le ferite di una città, solo allora, nella polvere, cominciavano ad emergere le storie personali, infinitamente sfumate, particolari e diverse, i lutti, le frustrazioni, il dolore, ma anche la speranza, apparentemente inconcepibile, di chi era sopravvissuto. Le storie di tutte le persone per le quali la notte del 6 aprile ha segnato una spartiacque, definitivo, tra il prima e il dopo.
«Indagare il perché di quello che è accaduto – disse allora Cora a ilsussidiario – sarebbe un atto di presunzione. Perché è successo non lo sappiamo, non è nelle nostre possibilità. L’unica è accettarlo come volontà di Dio». Non fece mistero della sua fede, Cora, in quell’occasione; disse anzi che era l’unica chance per non sentirsi definitivamente sconfitto. Nell’approssimarsi della grande festa cristiana del Natale, a nove mesi da quella tragica esperienza, ha scritto questo messaggio.
Caro direttore,
La vigilia di Natale la trascorrevamo nel tinello, che era il cuore della nostra casa di via 20 settembre 79. L’unica parte non travolta dal crollo. La sera del 24 Antonella ed Alessandra apparecchiavano la tavola e vi ponevano al centro rametti di pino ed agrifoglio illuminati dalla fiammella di una candelina rossa che ardeva per tutta la cena. In un angolo del tinello mia moglie Patrizia allestiva un grazioso presepe che a mezzanotte risplendeva per la presenza di Gesù bambino.
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Oggi, in quella stanza dalle pareti squarciate dal sisma, regna vento e neve. Sulla tavola, se è rimasta, dovrebbe esserci ancora qualche piccola traccia dell’ultima nostra cena insieme: chissà, forse la tovaglia o forse qualche piatto e qualche posata. Sola testimonianza di una famiglia che si amava e si ama e che la notte di Natale si raccoglieva attorno al presepe come ad una cattedra di vita da cui costantemente apprendeva che, unita nell’amore per il Signore, la famiglia è al centro della vita e della società e costituisce un naturale attrattore dell’amicizia sia degli angeli che dei pastori. Nell’umiltà, nella letizia, nel disagio.
Scrivo da un ospedale, dopo un delicato intervento chirurgico. So di non essere solo.Trascorrerò questo Natale, così come quelli che ancora il Signore mi concederà, con Patrizia, Antonella ed Alessandra che sono ora nella vera vita. A mezzanotte mi sussurreranno, come sempre: buon Natale papà.
Cordiali, affettuosi auguri,
Maurizio Cora
Riproponiamo di seguito il testo dell’intervista a Maurizio Cora pubblicata su ilsussidiario.net il 28 aprile scorso.
Avvocato Cora, oggi a L’Aquila ci sarà la visita di Benedetto XVI. Dopo eventi così drammatici che l’hanno coinvolta personalmente, e che hanno travolto una città, famiglie, legami, rapporti, cosa si attende?
La visita del Papa è un grande conforto per quanti, come me, soffrono profondamente. Le sembrerà poca cosa ma altro, mi creda, non saprei dire. Sentire vicina la Chiesa in un momento come questo ci conforta nella fede e nella speranza che tutto questo comunque possa avere un senso.
Neanche sua figlia Antonella ce l’ha fatta. Lei è sopravvissuto ai suoi cari…
Sì purtroppo è così. Dico purtroppo perché sopravvivere ai propri figli e alla propria moglie è qualcosa di tremendo, di assolutamente tremendo. Ho perduto in un attimo gli affetti più cari. Ora rimane la dolcezza che non c’è più. È l’evidenza di una dolcezza che hai sempre percepito, ma quasi come sottofondo della tua esistenza. Ora ne senti la mancanza, ma senti anche la forza di questa dolcezza che non hai più.
È questo sentimento a darle la forza di andare avanti?
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Se non ti agganci con la fede a Dio ma rimani sul piano del contingente, finisci per crollare. L’alternativa alla fede, per me, sarebbe la disperazione. Ora ringrazio il Signore per avermi regalato, per un pezzo della mia vita, Patrizia, Alessandra e Antonella. Persone meravigliose che mi hanno gratificato della loro presenza, del loro affetto, del loro sorriso. Ora non sono più con me, ma questa mancanza mi permette di constatare quanto grande era il dono che avevo ricevuto.
Lei ha perso la casa, lo studio, tutto. Ora ha ripreso a lavorare. Dove ha trovato la forza di ricominciare?
Sì, ho perso tutto. Questo naturalmente non è nulla rispetto alla scomparsa di mia moglie e delle ragazze. Ho trovato forza, come le dicevo, solo nella fede. Qui c’è ben poco da fare, umanamente parlando. Devi accettare, mi sono detto, come volontà di Dio quello che è accaduto.
Lei prega, dunque?
Sì, costantemente.
Tornerà dove ha sempre vissuto?
No. Penso che resterò in Abruzzo ma non all’Aquila, perché non ho una casa dove tornare e non vorrei ricostruirla là dove ho vissuto questi anni con mia moglie e le mie figlie. Sarebbe uno stillicidio di dolore. Non ce la farei e già adesso sono provato. Sarebbe una grandissima difficoltà andare avanti.
Come lei tanti altri suoi concittadini stanno lottando per tornare, lentamente ma con enorme fatica, alla normalità della vita e del lavoro. Cosa ha significato per lei questa prova?
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In me non è cambiato nulla, sono così com’ero prima. Ma hai una visione molto più relativa delle cose, vedi in maniera chiara ciò che conta veramente nella vita, che sono gli affetti e non le cose. I drammi li comprendi soltanto nel momento in cui li attraversi, quando ti trapassano lo stomaco e vivi la tragedia. E la tendenza è quella di allontanarsi rapidamente dalla dimensione del dolore e della sofferenza mentre, invece di fuggirla, bisognerebbe parteciparla.
Una prova drammatica come quella che ha vissuto come interroga la sua ragione, la sua fede e la sua speranza? Che risposta si è dato alla domanda sul perché? Perché tutto questo?
Indagare il perché di quello che è accaduto sarebbe un atto di presunzione. Perché è successo non lo sappiamo, non è nelle nostre possibilità. A meno che non si confonda tutto questo con la spiegazione di un terremoto. Quanto dolore accade ed è puntualmente dimenticato? Io anzi mi considero un privilegiato, perché ho la possibilità di raccontare la mia storia e il mio dramma. Altre persone hanno vissuto, e stanno vivendo, drammi tremendi nel silenzio.
Lei ha detto prima che il Papa conforterà la speranza della gente. Cosa voleva dire?
Il papa non toglierà nulla alle sofferenze della gente, ma porterà un annuncio di speranza. Le sofferenze si stemperano dinanzi certezza della paternità divina e alla speranza che viene annunciata dal Vangelo. La lezione di tutto questo è che nella vita bisogna sempre operare per il bene, e fare il bene, perché Dio ci chiama da un momento all’altro e l’importante è essere in grado di poter stare davanti a Lui.
Nonostante il dramma che sta vivendo, lei dà comunque un’impressione di grande forza.
Mi viene solo dall’accettare la volontà di Dio. Quello che accade lo dobbiamo accettare. Io sono convinto nella fede che tutto ha un senso, e nel momento in cui l’esistenza si pone in questi termini va accettata comunque. Nel lavoro, nella nostra famiglia, siamo sempre stati aiutati dalla Provvidenza, alla quale ci siamo sempre affidati. Se non possiamo comprendere questo evento – e come potremmo? – possiamo soltanto accettarlo. E starci dentro mi fa condividere la situazione di tutti.