Trovare delle ragioni per ringraziare vuol dire trovare uno sguardo nuovo sulla realtà, uscire dalla scontatezza con cui guardiamo la vita, uscire dagli schemi mutuati dalla sociologia, dal cosiddetto realismo che non è che la maschera della disperazione, dalla superficialità grigiastrache domina il discorso pubblico.



Cominciamo dalle cose che ci sono, non dalla crisi, da ciò che manca. Bisogna avere il coraggio di ricominciare dalle radici. Esse sono lo sguardo dell’infanzia. Un bambino può vedere ciò che un adulto non sa più scorgere, perché non ha gli occhi appannati dalla scontatezza e dalla pretesa. Se guardiamo così le cose semplici che costituiscono l’architrave dell’esistenza, pur con tutta la sua drammaticità e problematicità, possiamo trovare un nuovo punto di appoggio per affrontare la vita e le sue crisi.



La prima cosa per cui ringrazio è che torna il sole al mattino. Fa quasi ridere dirlo, siamo talmente abituati a dare per scontato questo miracolo quotidiano, ma forse chi ha vissuto un po’ di insonnia può capire ciò che dico. Chi non dorme di notte, o comunque non dorme alcune notti, è assalito dalla grande paura, verso le quattro del mattino, che il sole non ritorni, che il buio si prolunghi all’infinito. Non è un po’ questa l’angoscia sotterranea di tanta letteratura recente, da Aspettando Godot a Il deserto dei tartari? Il sospetto mortale che l’attesa non abbia fine…

Poi ringrazio che esistono sulla terra i fiori. Esistono sulla terra i colori. Quando finisce la notte, il bene è reso visibile in questi milioni, miliardi di piccoli esseri il cui scopo principale è essere belli. Sono la presenza elementare del bene che Dio ha regalato a tutti. Tutti possono godere dei fiori e dei colori. Ricordiamo l’espressione di Gesù, che Dio fa piovere sui buoni e sui cattivi, sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45).



Non è straordinario questo? Perché questa abbondanza che rende un qualsiasi prato un tappeto di colori? Perché così tanta varietà, le infinite sfumature del verde delle piante? Imparo da questa sovrabbondanza che Dio è gratuità. Esiste ancora in molti cuori il valore, il peso e l’esperienza della gratuità. Anche noi uomini possiamo partecipare della gratuità di Dio. Penso per esempio alle Famiglie per l’Accoglienza, alla comunità Cometa di Como, a chi, come loro, accoglie i bambini che non hanno casa. Ci sono esempi concreti di gratuità che testimoniano la sorgente da cui rinasce la vita.

Ogni volta che mi confesso sono invaso dalla gratitudine per questo immenso dono. Addirittura il peccato, ciò che è oggettivamente male nella nostra vita, molto più che ogni disgrazia e malattia, può essere perdonato. Da questa esperienza nasce una straordinaria libertà, la possibilità di risalire alla luce da qualsiasi punto in cui siamo caduti. «Laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia» scrive san Paolo nella lettera ai Romani (Rm 5,20).

Vale la pena di ascoltare il seguito della lettera: «Che diremo dunque? Continuiamo a restare nel peccato perché abbondi la grazia? È assurdo!» (Rm 6,1). Il perdono di Dio mette dentro di noi un profondo desiderio di conversione, di cambiamento. Don Giussani ha scritto: «Moralità è guardare Cristo». Guardo Cristo domandando di amarlo, di non peccare più.

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Guardo così alla silenziosità con cui milioni e milioni di persone nel mondo dicono il loro “sì” a ciò che Dio chiede in ogni momento. Guardo le persone che vivono con letizia il loro lavoro, sapendo che esso è un bene per i loro figli e per la loro famiglia. La lieta silenziosità della quotidianità è la strada che Giuseppe ha vissuto al fianco di Maria. È la strada di tanti santi, la maggior parte dei quali conosceremo solo in cielo.

 

Qualche sera fa, Antonello Venditti è venuto a cenare con me e i seminaristi della Fraternità San Carlo. Questi ultimi avevano preparato qualche sua canzone come omaggio. Poi Antonello si è messo al pianoforte a suonare e cantare. Mentre suonava Roma capoccia, una delle nostre cuoche romane è uscita dalla cucina per affacciarsi sul salone.

 

Mi ha impressionato vedere il suo viso non più giovane, ringiovanito di trent’anni ascoltando quel canto. Sembrava una bambina. Quale potere misterioso si nasconde nella musica, tale da trasfigurare un volto! Quanta bellezza nella semplicità di un canto! Viene da ringraziare Dio che esista ancora il canto, che ci sia ancora chi insegna a cantare e chi canta.

 

Anni fa ho intervistato Emmanuel Lévinas. Era il filosofo del volto. Mi diceva: «Il volto è innanzitutto la parte di noi più aperta, più indifesa, più libera. Il volto dell’uomo nella sua dirittura, nella sua direzione, si trova di fronte la morte. Quando guardo l’altro nella dirittura del suo volto, lo scorgo come se lui guardasse la morte. Così il volto diventa anche un appello per me, perché sulla fronte dell’altro c’è scritto non solo “tu non mi ucciderai” ma anche “tu non mi lascerai morir solo”. Questo obbligo di non lasciare solo l’altro di fronte alla morte è l’origine vera della socialità».

 

Ringrazio Dio dei volti degli amici, delle persone che conosco, ma anche delle persone che entrano solo per un attimo nella mia vita. Ogni uomo e ogni donna che incontro entrano a far parte di me, e non di rado scopro qualcosa sul loro volto che mi parla. I volti mi parlano della gioia, come quando vedo le giovani madri con i loro figli. Mi parlano dell’amore e anche del dolore e della fatica.

 

Cristo ha amato ogni briciola di umanità che incontrava. Non ci ha lasciato soli di fronte alla morte. Anche noi possiamo partecipare alla sua struggente attenzione per ogni persona, ogni dettaglio della vita, e gioirne. Proprio le cose di cui non ci accorgiamo più sono il luogo privilegiato della rivelazione del Mistero dentro la vita.

 

Il sole, i fiori, i colori, il perdono, il canto, i volti: essi sanno riaprire la gratitudine dentro di noi.