C’è una guardia giurata al terzo piano della clinica “La Quiete” a Udine. Controlla che nessuno entri nella stanza di Eluana Englaro, la prima persona in Italia che morirà di fame e di sete con l’autorizzazione dei giudici.

L’hanno portata via da Lecco con un’ambulanza, a notte fonda, nel buio, come ladri, e sono entrati in clinica da un ingresso laterale.



I volontari che faranno morire di fame e di sete la donna in stato vegetativo – una donna che respira da sola, che dorme e si sveglia, apre e chiude gli occhi, che deglutisce, che ha le mestruazioni, di cui nessuno è veramente in grado di dire se e cosa pensa, se e cosa prova – hanno costituito un’associazione, si chiama “per Eluana”. Ne fanno parte Amato De Monte, primario, e altri medici e tecnici specializzati.



L’hanno costituita dal notaio nei giorni scorsi.

Giudici, avvocati, notai: la morte per fame e sete di Eluana Englaro cerca di coprirsi con il manto della legalità. Ma la legalità e la giustizia non sono la stessa cosa: erano legali gli schiavi, e anche le stelle gialle degli ebrei.

La morte di Eluana, se avverrà per fame e per sete come descritto dai giudici, sicuramente non ha niente a che vedere con la giustizia, ed ha anche molte ombre per come la sua volontà è stata ricostruita.

Troppe le testimonianze discordi con quelle raccolte dalla Corte di Appello di Milano: almeno tre amiche, sue compagne di scuola, hanno dichiarato di non aver mai sentito Eluana dire che sarebbe stato meglio per lei morire piuttosto che vivere in certe condizioni, così come anche due suoi insegnanti (uno è adesso Preside di Giurisprudenza a Piacenza); c’è poi una lettera mai messa agli atti che contraddice quanto invece dedotto dai giudici. Ma questi fatti, resi pubblici da luglio – sul quotidiano Avvenire – e raccolti da un esposto presentato alla Procura di Milano, sono stati finora bellamente ignorati da chi aveva invece il compito di accertare la verità.



Se eseguiranno il decreto della Corte di Appello, Eluana morirà, e diranno che sarà morta naturalmente. Ma se c’è una morte innaturale, è proprio quella per fame e per sete. Si muore di malattia, di vecchiaia, per un incidente, una caduta: i morti per fame e per sete stanno nei paesi dimenticati da Dio, colpiti dalle carestie o dalla guerra, e di solito è uno scandalo quando nessuno li soccorre. Ma questo succedeva prima. Adesso, nel mondo alla rovescia che ci circonda, la fame e la sete pare siano diventati un segno di civiltà. Con la benedizione dei giudici, dei benpensanti, dei media, di Repubblica e del Corriere.

La vicenda di Eluana sarà di fatto uno spartiacque per il nostro paese, comunque si concluderà, non solo per le lacerazioni ed il pesantissimo clima conflittuale che vediamo già crescere furiosamente in queste ore.

L’ostinazione con cui è stata condotta questa vicenda, l’insistenza con cui si è cercato di far morire Eluana in una struttura pubblica, soprattutto in questi ultimi mesi e giorni, va ben oltre la battaglia personale di suo padre. E’ un’azione per portare nel nostro paese una mentalità e soprattutto una legislazione eutanasica, senza  il confronto con il consenso popolare – come è stato per il referendum sulla legge 40, o per i DICO – ma che si è servita dei giudici i quali, come è noto, non sono espressione della volontà popolare, e le leggi non dovrebbero farle, ma cercare di farle rispettare.

E’ un’azione per distruggere, nel nostro paese, un sentire popolare e un tessuto sociale che, nonostante tutto, ancora possono definirsi cristiani. Bisogna esserne consapevoli.

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