Viene una serena commozione nell’anima dopo la lettura della lettera che Benedetto XVI ha inviato ai suoi fratelli vescovi di tutto il mondo per spiegare le ragioni che hanno portato alla revoca della scomunica dei quattro vescovi nominati dall’Arcivescovo Lefebvre. Lì vi è soprattutto spalancato il cuore di un pastore al servizio di Cristo. Lì c’è il dolore di un padre che è stato maltrattato e incompreso da molti dei suoi. Lì c’è l’uomo umile che non nasconde gli errori del “corpo umano” della Chiesa che presiede. Lì si rivela, infine, la mano ferma di Pietro che tiene il timone nel mezzo della tempesta.



In primo luogo il Papa riconosce che la sua decisione ha suscitato un dibattito di una veemenza sconosciuta dentro e fuori la Chiesa. A ciò ha contribuito la mancanza di una spiegazione chiara dell’importanza e dei limiti della sua decisione nel momento in cui è stata resa pubblica, e inoltre la sovrapposizione del caso Williamson, con le sue nefaste dichiarazioni sulla Shoah. E così un gesto di riconciliazione con un gruppo ecclesiale separato è diventato l’opposto, «un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei», obiettivo che la telogia di Joseph Ratzinger ha servito fin dall’inizio.



Con paziente minuziosità, Benedetto XVI risponde a tutte le accuse che ha ricevuto. Non nasconde il suo dolore, ma non c’è ombra di risentimento, come se da questa voragine di critiche emergesse più limpida la sua umanità cristiana. «Era tale provvedimento necessario? Costituiva veramente una priorità? Non ci sono forse cose molto più importanti?». La priorità del Papa può essere solamente far presente Dio in questo mondo, aprire agli uomini l’accesso al Dio che parlò sul Sinai e il cui volto riconosciamo in Cristo crocefisso e resuscitato. Perché quando si spegne la luce che viene da Dio, l’umanità si nasconde nell’oscurità.



Da questa missione di condurre gli uomini al Dio di Gesù Cristo deriva l’urgenza di cercare l’unità dei credenti. Per questo è opportuno cercare anche, dice il Papa, «le riconciliazioni piccole e medie». E Benedetto XVI dimostra che il suo non è stato un gesto romantico, slegato dalla realtà o frutto di un’ossessione personale: «Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande e ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti, cosi che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme». Dovrebbe realmente il Papa lasciare tranquillamente che questa parte della comunità andasse alla deriva, dopo che aveva visto ragioni per un avvicinamento?

La revoca della scomunica ai quattro vescovi vuole invitarli al ritorno, ma non significa che la Fraternità San Pio X sia tornata alla piena comunione. Restano sospese serie questioni dottrinali (tra cui la piena accettazione del Concilio Vaticano II) e nel frattempo i membri di detta Fraternità non esercitano legittimamente alcun ministero nella Chiesa. A questo proposito il Papa li avverte che «non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962», ma aggiunge anche che «ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa».

Quando arriva il momento di trattare l’insieme di dichiarazioni che hanno caratterizzato questa polemica, Benedetto XVI non è proprio tenero. Riconosce che da parte lefebvriana si sono ascoltate molte cose fuori luogo, e le qualifica come superbia, presunzione e ostinazione, sebbene abbia anche ricevuto da questa sponda testimoni commossi da gratitudine e apertura di cuore.

Ma anche nell’ambito ecclesiale ci sono state amare uscite, come se il gesto di misericordia del Papa per molti giustificasse il fatto di rivolgergli accuse intolleranti e piene d’odio. Nella parte finale del testo, il Papa evoca il famoso passaggio della lettera ai Galati in cui san Paolo avverte la comunità del fatto che se si morderanno e divoreranno gli uni con gli altri finiranno per distruggersi a vicenda. Noi, dice il Papa, non siamo migliori dei Galati, e non dobbiamo scandalizzarci. Siamo minacciati dalle loro stesse tentazioni e dobbiamo imparare ancora la priorità dell’amore e il giusto uso della libertà. Per questo ci affidiamo al Signore, «che ci guiderà anche in tempi turbolenti».

Dopo aver letto le imprecazioni di alcuni teologi, i titoli miserabili di alcuni giornali e anche i dubbi timorosi di qualche episcopato centroeuropeo, la lettura di questa lettera mi porta le immagini contrapposte dell’aquila e delle galline. Benedetto XVI riprende il volo come un’aquila, ma allo stesso tempo è vicino al nostro dolore quotidiano, alle nostre povere dispute, alla nostra debole fede di ogni giorno. Questa è la sua missione, quella di confermarci nella fede, e con questa lettera impressionante lo ha fatto ancora una volta. Grazie padre.