Con la lettera indirizzata a tutti i Vescovi della Chiesa cattolica Papa Bendetto XVI ha messo la parola fine sulle polemiche che hanno accompagnato la decisione di revocare, con un atto di misericordia, la scomunica ai vescovi lefebvriani. Allo stesso tempo, però, la lettera ha notevolmente trasceso i semplici limiti della polemica contingente, per andare a toccare, con parole molto sentite, un punto essenziale della vita della Chiesa: il pericolo delle divisioni, e l’importanza della tensione all’unità, che soprattutto pesa sulle spalle di chi ha la responsabilità di guidare la “barca di Pietro”.
La pubblicazione di questo documento è dunque un vero evento, che va capito in tutta la sua profondità, anche contro le tante interpretazioni riduttive che già circolano sui giornali. Ne abbiamo parlato con il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian.
Direttore, siamo rimasti tutti un po’ spiazzati di fronte all’ampiezza di respiro e di contenuti di questa straordinaria lettera che Benedetto XVI ha indirizzato a tutto l’episcopato: che impressione le ha fatto leggere questo documento?
Si tratta effettivamente di una lettera straordinaria, che qualcuno – e direi a piena ragione – ha addirittura definito una “piccola enciclica”. È un testo che il Papa ha a lungo meditato, e che ha scritto interamente di suo pugno, dalla prima all’ultima parola. La situazione che ha generato la pubblicazione di questa lettera è senza precedenti recenti: il provvedimento di revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani ha provocato una reazione veramente inaudita. Dunque, altrettanto senza precedenti è stata questa lettera, che per il tono appassionato, per il contenuto così profondamente radicato nella tradizione della Chiesa ci ha richiamato non solo alle lettere dei vescovi cristiani antichi, ma addirittura alle lettere di San Paolo.
Non per nulla c’è un riferimento esplicito alla lettera ai Galati…
Quella è proprio la lettera che fa da sfondo a tutto il testo di Benedetto XVI. La lettera ai Galati fu scritta con grande passione dall’Apostolo, e indirizzata a una comunità a tal punto divisa da portare Paolo a quella esclamazione, riportata dal Papa: «se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!». Un altro parallelo tra i due testi è anche nell’evidenza del fatto che siano stati scritti direttamente dagli autori: San Paolo conclude la sua lettera dicendo proprio: «vedete con che grossi caratteri vi scrivo di mio pugno». Un documento eccezionale, e veramente commovente.
Veniamo al merito della polemica che ha generato questa lettera: perché una reazione così eccessiva e scomposta a quello che altro non era se non un gesto di misericordia?
Il Papa stesso è rimasto dolorosamente stupito per quello che è successo: si è trasformato un gesto di misericordia in pieno spirito conciliare, cioè proprio nella linea del Concilio Vaticano II – come l’Osservatore Romano ha sottolineato il giorno stesso dell’emanazione del documento – nel suo esatto contrario. E quel che è peggio, lo si è voluto trasformare in un atto di ostilità nei confronti dell’ebraismo, mentre l’amicizia con gli ebrei è uno dei punti cui Josef Ratzinger, come teologo, vescovo, cardinale e Papa ha sempre tenuto in modo particolare. Ci sono i testi a dimostrarlo; e c’è soprattutto una intera vita di intellettuale di prim’ordine e quattro anni di pontificato che dicono chiaramente ciò che invece si è voluto negare nel corso di questa polemica. Una polemica, bisogna ricordarlo, che è stata scatenata anche all’interno della Chiesa cattolica. Anche con odio.
Questo spiega il tono sofferente che traspare dalla lettera?
Forse sofferente non è il termine adatto; comunque è certamente una lettera in alcuni punti addolorata, ma che nel complesso mantiene toni che sono infine pacati e concilianti, pur senza risparmiare giudizi anche molto severi.
Si è parlato molto in questi giorni anche di un difficile rapporto tra il Papa e la Curia: è così?
Questo è un ritornello che viene ripetuto, e che a mio avviso non ha fondamento alcuno; come non ha nemmeno fondamento l’immagine di un Papa solo. Gli stessi quotidiani che hanno rilanciato questa immagine cadono in contraddizione, perché prima dicono che è un Papa solo, e poi ci indicano che sta in buona compagnia, perché attorniato da una cerchia di fedelissimi, che sarebbero niente meno che il Segretario di Stato e i capi dei dicasteri più importanti. E allora dov’è questa solitudine? Questo sono solo schemi, che vengono ciclicamente ripetuti; andando a guardare la storia del Pontificato del secolo scorso, lo si era detto anche a proposito dell’ultimo Pio XI, isolato nella Curia. Sono tutte interpretazioni che non reggono alla prova dei fatti, e che vengono smentite dalle stesse persone che le formulano.
Però qualche dissidio c’è, altrimenti non si giustificherebbe nemmeno la lettera del Papa…
Certo, la Curia non è una realtà monolitica, così come il papato, al contrario di quello che spesso si ripete, non è una monarchia assoluta, ma una realtà collegiale. La Curia in particolare è un organismo molto complesso, che per di più è cresciuto moltissimo nell’ultimo trentennio. È dunque evidente che possa contenere in sé una quantità di sensibilità anche molto diverse fra loro.
Questa lettera di Benedetto XVI che frutti nuovi porterà secondo lei nel futuro della Chiesa?
Innanzitutto porterà a un sempre più forte rapporto tra la Chiesa guidata da Benedetto XVI e l’ebraismo. In questa settimana, a proposito delle inaccettabili affermazioni negazioniste della Shoah, pensavo alla frase del Vangelo sulla necessità degli scandali, da cui poi viene un bene. Ecco, il Papa da questa situazione difficile è uscito anche grazie agli amici ebrei, come lui stesso ha detto nella lettera (e anche questo è un tratto impressionante, un gesto pubblico che va ben al di là della semplice cortesia). Infine, ritengo che questa vicenda porterà molti a ripensare a quella immagine caricaturale e del tutto infondata per cui il Papa viene presentato come Grande Inquisitore, uomo chiuso e oscurantista. La sua storia, i suoi scritti, le sue azioni stanno a dimostrare esattamente il contrario.