Stando alle anticipazioni pubblicate dalla stampa e annunciate da alcuni esponenti del Governo sul cosiddetto Piano Casa, si può dare un primo giudizio. Sembra in sostanza che l’Italia si appresti a cambiare la propria politica della casa e le modalità del proprio sviluppo edilizio e urbanistico.
Provo a individuare almeno per ordine quali sono i principali elementi delle politiche abitative a cui il Governo vuole mettere mano, con la premessa che qualsiasi suo intervento necessiterà inevitabilmente un’applicazione legislativa conseguente da parte delle Regioni e una nuova normativa urbanistica da parte dei Comuni e degli enti locali in generale.
Il primo importante tema toccato dal Governo riguarda il diritto di abitare da parte delle categorie meno abbienti, che non si possono permettere di acquistare una casa in edilizia libera. La scelta è di muoversi su due fronti: da una parte mettere in moto le funzionalità delle Aler locali in modo da poter cedere, attraverso sostanziose agevolazioni, la proprietà delle case affittate agli attuali inquilini. Così verranno generate nuove risorse finanziarie che favoriranno la riqualificazione e la ristrutturazione del patrimonio abitativo nel suo complesso, creando anche spazi di mercato per le piccole e medie imprese del settore edile.
L’altro fronte dell’azione governativa riguarda invece la messa a disposizione di nuovi fondi, si parla di circa 550 milioni di euro, che saranno dedicati, tramite le Regioni, a interventi di politiche di edilizia convenzionata a prezzi agevolati, che permettano in particolare l’acquisto a medio-lungo termine di case oggi in affitto riscattandole a costi vantaggiosi.
Due azioni con cui il governo comincia a rispondere in modo rapido e concreto alle necessità di social housing che il Paese esprime da tempo: un passo in avanti verso una vera politica dell’abitare sociale che va guardato con positività e obiettiva simpatia. Aggiungo però che i sistemi regionali devono attrezzarsi per una vera e propria riforma di housing sociale, seguendo un modello riassumibile nello slogan “più sussidiarietà e meno statalismo”, ovvero favorendo di più l’iniziativa dal basso e preoccupandosi di creare le condizioni economiche più vantaggiose perché queste iniziative possano rispondere in modo efficace al bisogno della società.
Mi riferisco ad esempio alla richiesta di case in affitto calmierato di quelle categorie sociali che oggi non possono permettersi l’acquisto della casa neanche in edilizia convenzionata. Una fascia sociale molto ampia e in crescita specialmente nelle aree metropolitane, a cui si deve rispondere non solo con nuovo denaro, ma con una politica di incentivazione attraverso fondi regionali o strumenti finanziari verso coloro che possono realizzare nuove case e metterle sul mercato a costi sociali sostenibili.
Inoltre ribadisco la necessità, e mi sembra che le ultime disposizioni dell’Unione Europea lo permettano, di un politica fiscale dedicata a questa specifica iniziativa, immaginando un imposta del 4%, – senza nulla togliere alla positiva iniziativa di Tremonti di abbassare l’aliquota al 10% per le altre attività di edilizia. Non si capisce infatti perché chi acquista la prima casa sia agevolato con l’iva al 4%, e invece non lo sia per nulla chi decide di andare in affitto. Mi pare un’evidente e palese ingiustizia sociale.
Mi aspetto quindi che le nuove disposizioni di legge regionali, così come già accade in Regione Lombardia, vadano sempre più in direzione di una politica di social housing che incentivi la libera iniziativa dei soggetti sociali già presenti sul territorio e il processo di costruzione di nuove case ecosostenibili e qualitativamente dignitose ma a costi agevolati.
Andando a fondo della questione aggiungo che una vera politica sociale per le case in affitto richiede il coraggio da parte delle Regioni, delle Province e dei Comuni italiani di ridefinire un vero e proprio “buono casa” per quella fascia sociale veramente povera che non può permettersi neppure un affitto calmierato. Uno strumento utile per eliminare la procedura alquanto burocratica oggi vigente delle liste d’attesa per le case popolari, spesso raggirata da soggetti che in realtà non avrebbero diritto ad accedervi.
Per farlo bisogna saper coinvolgere soggetti di controllo e di aggregazione sociale in sostituzione delle istituzioni pubbliche, mettendo in pratica il principio di Tony Blair secondo cui il contributo deve raggiungere direttamente chi ne ha bisogno.
Il secondo tema toccato dal decreto governativo sul Piano Casa riguarda la riqualificazione e la ristrutturazione di buona parte del patrimonio immobiliare pubblico e privato del Paese, che prevede un sistema di premialità per l’abbattimento e ricostruzione o per la ristrutturazione. Premialità che raggiunge importanti quote percentuali laddove l’intervento ha tutti i requisiti di eco sostenibilità.
Questa è un’iniziativa più che felice da parte del governo, che mette in moto nuove politiche urbanistiche e di trasformazione delle città. Soprattutto per quanto riguarda il patrimonio pubblico, dove ci sono interi quartieri di fatto dimessi o in gravi condizioni di degrado, non solo strutturale e urbanistico ma anche sociale e umano, su cui bisogna intervenire.
Una sfida affascinante e una provocazione per la classe politica amministrativa e dirigenziale del Paese, che mi auguro la possa affrontare in modo intelligente e creativo senza farsi soffocare da sterili e inutili opposizioni ideologiche che sono il vero cancro dell’immobilismo italiano.
Anche per il patrimonio immobiliare privato questo decreto è uno stimolo importante a investire, mettendo in circolo nuove risorse – che i cittadini non avrebbero investito nel sistema finanziario visto la scarsa fiducia di questo periodo – ma che in questo modo invece può favorire l’attività imprenditoriale delle piccole e medie imprese, che a sua volta porterà all’aumento di consumi in ambiti come l’arredamento, gli elettrodomestici e i complementi d’arredo. A conferma del principio ancor valido che il mattone mette in moto l’economia.
Il terzo tema è il tentativo di introdurre in Italia in modo preciso e radicale un giusto rapporto tra gli operatori privati e la pubblica amministrazione. Un rapporto in cui, definiti in modo semplice e elementare alcuni criteri per gli interventi privati nella riqualificazione immobiliare del patrimonio esistente, sia eliminata quella pletora di procedure, normative e regolamenti pubblici che sono la vera fonte di tanta corruzione e di tanto immobilismo.
Valorizzando invece la responsabilità del mondo professionale e dell’imprenditoria italiana che potrà agire sotto autocertificazione. La funzione pubblica non è più quella di “dare il permesso” ad agire, bensì quella di controllare semplicemente che siano seguiti i principi generali indicati dalle norme. Tra privato e pubblico si instaura così un rapporto di fiducia, mentre il principio che vige oggi anche in tante leggi italiane, non ultima quelle in materia fiscale, parte dal presupposto di una disistima nei confronti dei professionisti.
La semplificazione burocratica amministrativa e l’assunzione del principio della responsabilità nel sistema professionale e imprenditoriale non possono che non essere viste come un grande passo in avanti culturale ed economico, a dispetto di coloro che credono che la libera iniziativa privata nasconde sempre a priori un dolo.
C’è infine un elemento essenziale che ritorna in più parti in questa azione governativa e che merita attenzione: l’investimento in eco-sostenibilità significa l’abbattimento dei costi energetici nella trasformazione e gestione del patrimonio pubblico e privato, in conformità con le linee guida dell’Unione Europea che alcune regioni come la Lombardia hanno già fatto proprie. Per chi ha a cuore una vera politica ambientale in Italia, questa nuova normativa deve essere sen’altro accolta positivamente.
In tutte queste iniziative possiamo scorgere uno stimolo a una ripresa dell’economia, in particolar modo nei settori dell’edilizia, della progettazione e delle tecnologie. Secondo una prima stima del Cresme pubblicata dal Il Sole 24 Ore stiamo parlando di un indotto in Italia di 60 miliardi di euro all’anno (il 35% dell’intero indotto del settore edilizia).
Chi continua a lamentarsi per la grande crisi e non si accorge di questa grande opportunità che il governo ci sta concedendo, o è particolarmente stupido o è in malafede. Personalmente plaudo a questa iniziativa perché è una concreta risposta alla crisi e uno stimolo per il sistema del welfare sociale e all’imprenditoria del settore a riprendersi lasciando per strada perplessità o dubbi. Ci auguriamo che le Regioni e le pubbliche amministrazioni italiane siano all’altezza di questa responsabilità.