In molti settori aumenta la sensazione che la barca della Chiesa si muova troppo. Ci sono voci discordanti, si accumulano le polemiche, il meccanismo non sembra ben oliato e si è aperta la corsa ad umiliare impunemente lo stesso successore di Pietro. C’è qualcosa di vero in tutto questo, sebbene manchi la freddezza, la prospettiva storica e un pizzico d’ironia per pensare che forse è stato sempre così, in un modo o nell’altro.
In ogni caso ultimamente, da destra e da sinistra e sebbene per motivi diversi, si insiste sul vecchio tasto del cambiamento delle strutture. Come se la tempesta attuale si potesse superare riformando la Curia, aggiustando la disciplina ecclesiale, migliorando i procedimenti di selezione dei vescovi, o con un’adeguata strategia di comunicazione. Va da sé che non disprezzo nessuna di queste cose: ognuna ha un suo peso e merita un’attenzione. Ma mi sembra profondamente sbagliato mettere l’obiettivo su di esse, come se lì si giocasse realmente la partita.
La recente lettera del Papa ai vescovi di tutto il mondo sulle ragioni che lo hanno portato a revocare la scomunica ai quattro vescovi ordinati da mons. Lefebvre, pone il problema molto più al fondo. Benedetto XVI fa una diagnosi che dovrebbe correggere tutte le nostre analisi e priorità: «Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. […] Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più».
Il problema per la Chiesa è questo: Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e così decade la loro stessa umanità con le sue costruzioni. Lo ha ripetuto il Papa in Africa: «Quando la Parola del Signore […] è ridicolizzata, disprezzata e schernita, il risultato può essere solo distruzione e ingiustizia». Ciò nonostante Dio entra nella storia degli uomini e «fa la differenza», genera una razionalità, un impulso di costruzione, una libertà e un affetto impensabili, per questo «Dio è il futuro». La gioia palpabile di Benedetto XVI nel suo viaggio africano si spiega solamente perché lì ha visto una Chiesa viva, che vive di questo e per questo, libera dalle polemiche sterili come quelle che spesso ci distraggono in Occidente.
A bordo dell’aereo hanno chiesto al Papa se proporrebbe alla Chiesa in Africa un esame di coscienza e la conseguente purificazione delle sue strutture. E la sua risposta è stata che naturalmente esiste sempre una necessità di purificazione, ma soprattutto interiore, dei cuori, un nuovo inizio nella presenza del Signore. Il problema è la fede, priorità unica e assoluta del pontificato, come dimostrano le sue due encicliche e il libro su Gesù di Nazareth. E dire questo è realizzare anche un gesto di governo diretto a tutta la Chiesa, che potrà essere capito e seguito o meno, a tutti i livelli. Questo è già un altro modo di parlare.
La priorità della Chiesa non può essere di aggiustare la sua struttura, cosa che d’altra parte fa senza sosta da venti secoli. Il problema è comunicare la fede, farla presente come risposta al cuore dell’uomo, creare spazi dove questa fede possa essere incontrata, alimentata e accompagnata, dove si rendano visibili le sue conseguenze sociali e culturali. Non è un caso che il Papa abbia citato l’immensa figura del vescovo benedettino san Bonifacio: lo impressionano la sua accoglienza della Parola di Dio, il suo amore appassionato per la Chiesa, la sua unità con il successore di Pietro, la sua capacità di generare cultura dalla fede, la sua instancabile creazione di nuove comunità… e così via fino a offrire il suo stesso sangue. E conclude il Papa: «Paragonando questa sua fede ardente, questo zelo per il Vangelo alla nostra fede così spesso tiepida e burocratizzata, vediamo cosa dobbiamo fare e come rinnovare la nostra fede, per dare in dono al nostro tempo la perla preziosa del Vangelo».
Bisogna incontrare uomini e donne così, bisogna chiederlo al padrone della vigna, bisogna facilitarlo e sperarlo, e soprattutto bisogna seguirli. Non esiste altra rotta nel mezzo della tempesta.