La Gerusalemme antica, considerata santa da ebrei, cristiani e musulmani, è una città piena di monumenti religiosi. Sicuramente i tre più famosi sono il Muro del piano (chiamato “muro occidentale” dagli ebrei), la moschea di Omar e il santo Sepolcro.

La scelta del muro occidentale come spazio di preghiera degli ebrei si deve alla sua vicinanza al luogo dov’era costruito il tempio dell’epoca di Erode. Il secondo monumento onora la roccia da cui Maometto, secondo un racconto islamico, ascese una notte al cielo; è importante nonostante il luogo di preghiera sia la moschea di Al Aqsa, costruita nella parte meridionale della spianata del tempio. Il terzo è una chiesa costruita sopra una tomba giudea: il sepolcro di Gesù di Nazareth. È normale trovare edifici sui resti di personaggi famosi, così da onorare la loro memoria. La caratteristica di questa tomba è che è vuota dal secondo giorno in cui fu sepolto il cadavere del crocefisso. Che ne è stato dei suoi resti mortali?



Il cadavere che era stato messo all’interno di questo sepolcro sparì non perché fosse stato rubato o portato da un’altra parte, ma perché è resuscitato. Sebbene il nome attuale di questa chiesa sia il santo Sepolcro, il primo edificio che è stato costruito sopra la tomba aveva un altro nome: Anastasis. Fu scelto dall’imperatore Costantino che decise di costruire l’edificio sopra quel sepolcro vuoto su insistenza della madre Elena. Il nome significa resurrezione e allude a quanto avvenne lì: Gesù di Nazareth resuscitò dai morti. Non nel senso che tornò alla vita dopo un tempo in cui non aveva alcuna attività vitale; di questo fenomeno abbiamo esempi nella storia antica e recente. La resurrezione di questo crocefisso non consitette in un ritorno alla vita che aveva avuto prima; cioè, il suo corpo non è stato rianimato o riportato in vita. La persona così, dopo un pò di tempo, morirebbe ancora e il suo corpo sepolto andrebbe a corrompersi.



Si può vincere la morte una volta, o forse di più, ma non definitivamente. Gesù di Nazareth invece ha vinto la morte una volta per tutte, uscendo gloriosamente dal sepolcro. I libri cristiani più antichi, raccolti sotto il titolo “Nuovo Testamento”, quando si riferiscono a questa vittoria usano diverse formule: “Gesù è stato esaltato”, “è seduto alla destra di Dio”, “è stato glorificato”, “fu investito di potere”, ecc. Con queste espressioni si vuole descrivere qualcosa di unico e definitivo: possiede la vita vera, quella che non è sottoposta al decadimento, alla sofferenza e alla morte; egli vive per sempre, la morte non ha più potere su di lui.



È possibile che qualcosa di simile capiti a un uomo? Per quel che sappiamo no. Tutti gli uomini – nobili o plebei, famosi o sconosciuti, saggi o stolti, ricchi o poveri – sono morti e rimangono sotto il potere della morte. Come ricordava Benedetto XVI nella sua omelia nella Pasqua del 2007, «la porta della morte è chiusa, nessuno può tornare indietro da lì. Non c’è una chiave per questa porta ferrea». Ma, a partire del primo giorno della settimana dell’anno 30, risuona nella storia una strana notizia: un giudeo crocifisso per ordine di Ponzio Pilato, prefetto della Giudea, è resuscitato, ha aperto queste porte. «Cristo, però, ne possiede – continua Benedetto XVI – la chiave. La sua Croce spalanca le porte della morte, le porte irrevocabili. Esse ora non sono più invalicabili. La sua Croce, la radicalità del suo amore è la chiave che apre questa porta».

Non è strano che un simile annuncia sia suonato alle orecchie umane come qualcosa di fantastico, irreale e fuori dal mondo; qualcosa insolito rispetto alla vita normale e quotidiana. Forse è questo il motivo che è all’origine di tutti i tentativi di distruggere questo edificio nel corso dei secoli? Di fatto il sepolcro scavato nella roccia che ha ospitato il cadavere di Gesù di Nazareth non esiste più: nel 1009 il califfo musulmano Al-Hakim lo fece distruggere. Alcuni anni più tardi i cristiani cercarono di ricostruire al posto della tomba una semplice cappella, che è stata distrutta in un incendio agli inizi dle XIX secolo. Il brutto edificio che pellegrini o turisti trovano oggi all’interno del santo Sepolcro è stato costruito da un architetto greco anni dopo sulle rovine di quel piccolo edificio medievale.

Nonostante queste distruzioni, che nascono dall’incredulità o dallo scetticismo degli uomini, il santo Sepolcro continua a testimoniare la vittoria di un uomo, Gesù di Nazareth, sulla morte. Come annuncia il cristianesimo, attraverso la sua resurrezione, Gesù è tornato alla gloria celeste ed è diventato giudice dei vivi e dei morti, Signore dell’universo. Pertanto ha la potestà di promettere e concedere la vita eterna a tutti quelli che credono il lui: «Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno»(Gv 1,25).

In più, dato che è resuscitato, vive ed è presente qui e ora, manifestandosi e attraendo tutti gli uomini a sé, con il fine di farli partecipi della vita piena, portando tutti gli aspetti dell’umanità al loro pieno compimento. La resurrezione di Gesù, dice il Papa, «è un salto di qualità nella storia dell’evoluzione e della vita in genere verso una nuova vita futura, verso un mondo nuovo che, partendo da Cristo, già penetra continuamente in questo nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé».

Per questo, quel luogo è il fondamento della speranza per tutti gli uomini. La fede nel fatto che il futuro sarà positivo, che la mia vita si compirà, che il mio desiderio di felicità troverà una risposta non nasce dalla mia stessa capacità o dalla fortuna che ho, ma da ciò che è successo all’interno di quella tomba vuota. Cancellare, dimenticare o disinteressarsi di quella tomba è andare contro ciò che ognuno di noi più desidera: la propria felicità. Il bene della società, il bene di ogni uomo nasce dall’adesione a quel fatto.