La comunità di Comunione e liberazione ha organizzato la Via Crucis di quest’anno a Santa Maria di Ronzano sulla Val Vomano, una chiesa romanica del ‘400 adagiata su un prato mosso da un vento leggero, alle pendici del Gran Sasso. La chiesa però è chiusa, come tanti edifici da queste parti, perché ha bisogno di una verifica tecnica. Siamo rimasti perciò nel prato e abbiamo portato la Croce nelle campagne intorno.



Un foschia opaca nasconde le cime ancora in parte innevate. Di là dal monte c’è L’Aquila. Alcuni nostri ragazzi tornano da lì, dove studiano, le gambe dei genitori ancora sono molli dalla paura. Hanno lasciato amici e compagni di studio che non vedranno più.

Vengo con mio marito da Pescara, lavoro in un ospedale della Asl di Chieti, dove sono giunti, nella giornata di lunedì, alcuni feriti dalle zone terremotate. I segni di dolore che portano sul volto sono certamente più difficili da curare delle loro fratture, e stargli di fronte mette alla prova anche la speranza affidabile che ci sostiene. Sono stanca ed incerta se fare tanti chilometri per raggiungere gli altri. Ma ho bisogno anch’io. I canti della nostra tradizione, le letture di Peguy e la Croce da seguire mi aiutano a vedere su cosa poggiano le nostre case tremolanti. Non sulle cose, non sulla nostra capacità, ultimamente nemmeno su una pia devozione.



Si procede in silenzio nella campagna, insieme agli amici di una vita e ad amici degli amici e figli e amici dei figli che nemmeno conosco. Gira voce di un’amica morta in nottata. Un incidente stradale. Non era abbastanza?

Il cammino è piuttosto accidentato, gli organizzatori sono stati ottimisti sulle nostre capacità, ma il tempo ci ha aiutato. Se invece che avere un pomeriggio di sole fosse piovuto, non so. Comunque, siamo insieme, tutti percorrendo la strada della Croce. Nemmeno a pensarlo di essere all’altezza di quella presenza, ma basta seguire.

Il coro intona Crux fidelis, risuonano canti che hanno accompagnato la vita e le sofferenze del popolo cristiano attraverso i secoli, e sono giunti sino a noi, come la bella chiesa che oggi non potremo ammirare nei suoi interni affrescati. Come le belle e solitarie chiese della piana dei Navelli che ho attraversato la settimana scorsa per raggiungere L’Aquila. Ci parlano di una storia che si ripete, di un amore che non viene meno.



(Elisabetta Sbaraglia)