Pasqua senza campane è una Pasqua strana. Ieri a L’Aquila non sono suonate le campane. La città delle 99 chiese, che in molti casi non hanno più neanche il campanile, in altri sono in precarie condizioni. Ma la Pasqua è stata vissuta con la gioia che la giornata implica. Una riscoperta forte del senso religioso, testimoniato dalla partecipazione alle Sante Messe nelle diverse tendopoli, il bisogno di pregare per chi adesso non c’è più, per chi deve pensare al futuro. Una giornata in cui ho approfittato di ritrovare i miei affetti. Non solo la famiglia che, finalmente, mi ha avuto qualche ora in più del solito. Un momento di confronto e di risposta alle domande e alle curiosità dei figli, che hanno vissuto in questa settimana non solo le cronache televisive ma anche la vita un po’ sottosopra del loro papà.



Il pensiero immediatamente successivo alla famiglia è stato quello per colleghi e collaboratori. Amici soprattutto, persone con cui fino a domenica scorsa ho lavorato fianco a fianco ogni giorno. Sono sparsi sulla costa abruzzese. Giorgio è in un villaggio turistico a Roseto degli Abruzzi. E’ stato accanto a me nelle ore immediatamente successive al terremoto, ha scattato foto nel corso della notte. Era spaventato, ma ha lavorato fino a quando, al sorgere del sole, i familiari non gli hanno comunicato che lo zio era rimasto sotto le macerie e non si avevano più notizie. Lo hanno ritrovato morto dopo qualche ora. Solo a quel punto il terremoto lo ha segnato, forse per sempre. Ha trascorso la Pasqua con una collega di Teramo, che ha scelto di passare con lui le ore di festa.



Fargli sentire da vicino la sua amicizia. Una vicinanza per trasmettergli quell’amore che spesso non ci si dice quando si lavora insieme e magari si litiga pure. Quell’attenzione all’altro che emerge quando c’è più bisogno. Sempre a Roseto degli Abruzzi, poco più lontano, ci sono Giancarlo, il fotografo della redazione e il figlio Marco, collaboratore da poco, che aspira a diventare pubblicista. La loro casa è fortemente lesionata, da subito sono finiti tra gli sfollati con destinazione mare. Marco continua a lavorare per quello che può. Dal mare continua a fare il “giro di nera”. Anche se le cronache più devastanti le vorrebbe cancellare dalla sua memoria.



A Montesilvano, in un albergo c’è Angela. Quando l’ho chiamata l’ho sentita un po’ più rilassata dei giorni scorsi. Siamo stati assunti insieme, lo stesso giorno abbiamo cominciato a lavorare ufficialmente, dopo anni di “abusivismo”. Insieme abbiamo condiviso le gioie del lavoro, adesso insieme a lei voglio vivere la sofferenza di una casa persa, del dramma per la sua famiglia, del futuro di suo figlio, della scuola, della necessità di ricominciare a lavorare. Per lei il terremoto è sempre stato un incubo, da dicembre, da quando abbiamo cominciato a convivere con le scosse quotidiane. Seguiva online le previsioni di Giuliani, il tecnico dell’Istituto di fisica nucleare che avrebbe trovato un sistema empirico per prevedere i terremoti. La domenica prima del terremoto non aveva lavorato, era il mio turno. Non ha così seguito le ultime previsioni. E’ comunque viva e di questo ringrazia Dio. I miei programmi per la Pasqua non erano loro. Era una giornata di festa, da trascorrere al mare.

Pasqua è stata diversa. Il destino mi ha fatto reincontrare con uno sguardo diverso le persone che ho avuto accanto ogni giorno. Anche oggi, la scoperta che questo terremoto mi sta facendo imparare un’attenzione diversa verso gli altri. Non quelli lontani ma proprio le persone più vicine. Quante volte ci siamo chiesti tra amici quale era la presenza di Cristo nella vita quotidiana, sul luogo di lavoro. Quante volte non ho saputo darmi risposte.

Questa Pasqua è stata una giornata di risposte.

(Fabio Capolla – Giornalista de Il Tempo)

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