Il terremoto ha avuto un’accelerazione al suolo di oltre 7 volte superiore a quella considerata, come simulazione, nei progetti delle strutture in zone sismiche. Ma l’Aquila è una zona sismica di seconda categoria nella quale si usa un coefficiente pari al 7% di accelerazione di gravità, mentre questo terremoto ha dato un’accelerazione che è pari al 50%’.
E se non fossero stati rispettati i criteri antisismici ora la città sarebbe stata rasa al suolo. Parte da qui l’analisi dell’ingegnere Vinicio Polidori, che dal ’73 svolge attivita’ professionale nel territorio sconvolto dal sisma. Polidori, una memoria storica nel settore della progettazione in un’area così difficile, parla di responsabilità nei crolli dicendo che “tutti gli attori del processo produttivo ne hanno” e tirando in ballo anche la politica “che fa leggi che permettono a tutti di progettare e costruire”. Polidori parla anche di ricostruzione e denuncia che all’Aquila “ci sono già le multinazionali della progettazione che vengono a fare sciacallaggio vero”.
“L’Aquila la devono ricostruire gli aquilani, esiste una scuola di ingegneria di prim’ordine, tra le migliori d’Italia, dove si sono formati i migliori tecnici. Ben venga l’aiuto da tutto il mondo, ma si tenga conto delle professionalità locali che, nonostante qualche errore, è una categoria molto preparata. In generale è stata fatta una buona progettazione e sono state rispettate le leggi antisismiche e sul cemento armato fin dalla loro emanazione negli anni settanta. Altrimenti l’Aquila sarebbe stata rasa al suolo”.
Sul terremoto, Polidori che ha casa e studio danneggiati, chiarisce: “Il sisma è stato di una violenza inaudita, un fenomeno che ricorre ogni 250 – 300 anni. E’ la continuazione di quello devastante del 1703 – spiega -. Si è manifestato attraverso una tremenda accelerazione del suolo sul quale poggia l’edificio. Le strutture sono state sottoposte a delle forze dipendenti dalle masse degli edifici stessi e dall’accelerazione del suolo causata dal sisma. Se vediamo la città, non è stata colpita in modo uniforme e questo dipende dalla geologia dei terreni, dalle fratture esistenti nei terreni che cambiano da stagione a stagione.
Ci sono intere vie risparmiate, conosco costruttori che hanno edificato con le stesse modalità in due zone diverse, da una parte c’é un grosso danno, dall’altra no”. E le cause? “Da un primo esame dei danni, emerge chiaramente che a parità di altre condizioni sono state fortemente penalizzate costruzioni di forma irregolare realizzate con materiali molti diversi tra di loro, senza una cura appropriata dei dettagli costruttivi. Si sono comportate bene le costruzioni di forma compatta, quadrata o rettangolare, comunque uniforme. In generale direi che si è progettato bene, costruito non sempre bene, i difetti più ricorrenti nelle costruzioni in cemento sono la mancanza di confinamento (cioé tamponature e tramezzi non sono sempre opportunamente collegati alla strutture), e la mancanza dei dettagli costruttivi”.
“Escludo che sia stata utilizzata sabbia di mare – dice poi Polidori – ma in taluni casi specifici sono stati utilizzati materiali scadenti”. “Le responsabilità sono di tutti e bisogna esaminare cosa è successo per non fare più errori: nel processo edilizio c’é un committente, un progetto e costruttori. E a monte di tutto c’é chi fa le leggi. E in Italia esiste una legislazione che consente a tutti di occuparsi di edilizia anche chi non ha nessuna patente e formazione professionale. Se il legislatore non vuole più contare i morti deve prevedere che almeno in zona sismica, si devono occupare di progettazione – conclude l’ingegnere -, solo i tecnici che sono stati specificatamente preparati a quel compito. Oggi invece progettano tutti”.