Nei momenti di gioia il ricordo per chi non c’è più si fa vivo. E’ accaduto questa mattina, quando sono andato ad assistere alla discussione delle tesi di laurea. 27 ragazzi che hanno raggiunto il traguardo accademico al termine del corso di studi in fisioterapia. Mancava il 28°, un mio concittadino, morto sotto le macerie insieme alla fidanzata.
Per lui la laurea ad honorem. A ritirarla il padre, un uomo distrutto dal dolore, che nel giro di pochi anni ha perso anche la moglie per una malattia e la figlia in un incidente mortale. Difficile rispondere a domande difficili davanti a un uomo che ricorda i progetti di lavoro che il figlio stava preparando, che dice che aveva pensato questo giorno di festa insieme a lui e che invece era lì solo. Un dolore composto, un amore per il figlio che va oltre il fatto tragico.
Quando ti trovi di fronte a queste situazioni la mente corre ai tuoi di figli, ai progetti che hai per loro. A un soffio di vento che te li porta via, che ti ricorda che non sono tua proprietà. Ho ripensato alla mia laurea, quella che non è mai arrivata, alle speranze di mia madre di vedermi laureato. Alla sua iniziale delusione quando ho scelto di lavorare piuttosto che studiare, soprattutto a pochi esami dalla tesi. Ho contrapposto questi pensieri a quel padre che era felice per quello che il figlio ha fatto, per l’amicizia che ha vissuto: Le testimonianze del suo compagno di studi, Valerio, laureatosi ieri senza la condivisione di un traguardo.
Una giornata che nel pomeriggio è stata devastata dalla pioggia. Tantissima acqua che ha reso difficile gli spostamenti, che ha creato non pochi problemi a chi doveva recuperare oggetti nelle proprie abitazioni, a tutti quelli che stavano lavorando. Acqua a catinelle che ha rinchiuso anche i bambini nelle tende. Momenti in cui si vede l’assenza di persone che ti sono vicine, ti aiutano. Al di là della mole di roba che è arrivata per i terremotati quello che sembra mancare è il rapporto umano. Una notevole differenza tra ciò che accade nelle tendopoli allestite nei paesi e quelle di città.
Quell’amicizia così forte che è radicata nelle piccole comunità, dove ci si chiama per nome, dove si vive per l’interesse nell’altro, scompare nelle tendopoli di città. Gente abituata a vivere in maniera formale, senza interessarsi alla vita di chi gli sta vicino. Così quando piove si scopre la differenza tra chi si vuole bene nella quotidianità e si riunisce sotto una sola tenda per stare insieme e chi invece passa il tempo nella noia, maledicendo la pioggia, non riuscendo ad uccidere il tempo che sembra non trascorrere.
Sto conoscendo tanta gente in questi giorni. Confronti su quello che è successo, su come affrontare e superare le difficoltà. In futuro serviranno momenti di dialogo con chi ha dentro il trauma del terremoto. Persone che hanno bisogno di amicizia, forse anche di terapia. Che hanno dentro gli occhi la paura di quei momenti, il dolore di quelli successivi.
(Fabio Capolla – Giornalista de Il Tempo)