Come sempre accade in queste circostanze, il vero problema è il giorno dopo. Nella confusione del disastro si ha a malapena il tempo di guardarsi intorno, di capire quello che è successo. Poi il disastro diventa normalità, una normalità rovesciata e insopportabile. E poi la terra che continua a tremare, e che spegne o diminuisce ogni voglia di ricostruzione.



Per capire com’è la situazione vista da vicino, abbiamo raggiunto Toni Capuozzo, inviato del Tg5, che è come sempre lì sul posto. Ecco il suo resoconto a Ilsussidiario.net.

Capuozzo, qual è la situazione dopo le ultime scosse?

Le nuove scosse di ieri hanno creato grande sconforto nell’animo degli sfollati. Molti di loro si sono definitivamente convinti a mollare, ad abbandonare le zone più a rischio e a raggiungere altrove parenti e amici, sia in Abruzzo che fuori. Nell’arco della giornata di ieri, già dopo la scossa del mattino e prima di quella delle 19.30, si sono viste molte macchine che abbandonavano la città. La gente si è resa conto che la situazione è troppo instabile.



Quindi lo stato d’animo generale è peggiorato ulteriormente, dopo le scosse di ieri?

Diciamo che è cambiato. Dopo il terremoto dell’altra notte si era evidentemente creato uno stato di choc collettivo, com’è naturale; ma ieri il sentimento che più serpeggiava tra la gente era quello dell’amarezza. Due scosse come quelle di ieri tolgono l’illusione che il peggio sia passato, che sia arrivato il momento in cui ci si può dare da fare per ricostruire. Dopo lo choc c’è un momento in cui si dice: ci siamo, siamo vivi, adesso riprendiamo. Invece ieri questo impeto è stato come smorzato, e si è capito che bisognerà continuare a fare i conti con una situazione sismica che non è mai prevedibile. Perché quelle di ieri sono state evidentemente molto di più di semplici scosse di assestamento.



Com’è invece la situazione dei soccorsi?

Da questo punto di vista la situazione è positiva: i soccorsi sono tanti, e le strade sono addirittura quasi intasate dai mezzi e dagli uomini che stanno arrivando sul posto. Tutto questo dà idea che le prossime notti saranno sempre meglio organizzate rispetto alla prima, dove tutto, per ovvie ragioni, era improvvisato.

Si è parlato molto di Onna, il paese più colpito da questo terremoto: com’è lì la situazione?

Onna è effettivamente il punto più colpito, ed è quasi totalmente sepolto dalle macerie. Comunque anche qui i lavori procedono: è cominciata la demolizione degli edifici più pericolanti, per consentire di concentrare i lavori e le perizie sulle abitazioni che hanno danni per così dire minori, i quali potrebbero essere resi abitabili in tempi più rapidi e alleggerire così il problema degli sfollati. Come dicevo, c’è anche qui una grande affluenza di aiuti, ma come sempre il nemico contro cui combattere è il tempo. Più il tempo passa e più si avvertono varie esigenze: una di queste, ad esempio, è quella di avere congelatori per conservare il cibo, in modo tale che la gente possa iniziare a mantenersi nella tenda senza dipendere totalmente dalla cucina del campo.

Com’è invece la situazione dal punto di vista dell’allestimento dei campi e delle tendopoli?

Le tendopoli vengono allestite e i lavori procedono speditamente. Però penso che in tempi brevi bisognerà provvedere anche diversamente, nel senso che bisogna entrare nell’ottica di mettere le tende vicino alle singole case, nei casi in cui naturalmente non siano troppo pericolanti. Questo perché la gente possa guardare da vicino casa propria, il proprio orto, il proprio campo. Soprattutto nei piccoli paesi questa è una cosa importantissima: qui ci sono contadini, e in generale c’è gente che ha un grande legame con la casa, con la terra.

Ci sono alcune storie particolari che l’hanno colpita?

Innanzitutto sono stato al carcere, dove la situazione è evidentemente molto dura. Ma oltre a questo sono stato molto colpito dal modo con cui stanno affrontando la vicenda gli extracomunitari, in particolare i rumeni. È inutile negarlo, è gente un po’ malvista; ma in questa situazione ci si rende conto come il terremoto operi un po’ come una livella. Tutti, allo stesso modo, partecipano del dramma, della tragedia. È ovvio che chi è immigrato ha qualche difficoltà in più: è più solo, riesce a fatica a farsi assistere, e non ha una comunità di riferimento.

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