«Mi considero un privilegiato. Sì, io e i miei lo siamo davvero. Sia la mia famiglia che quella dei dipendenti siamo tutti salvi. In tanti hanno perso tutto, i cari, la famiglia, la casa, tutto». La Eagle Project è una società di Ict, con sede a Monticchio, nella zona industriale de L’Aquila. Da domenica il capannone nel quale c’erano gli uffici e i server da domenica non è più agibile. Tutto bloccato, si lavora come si può, solo coi telefoni. Abbiamo raggiunto uno dei soci, Marco Salomone. «In questo momento sono al campo di calcio di Paganica – ci dice al telefono – dove è stata messa la tendopoli. È un formicaio, ci sono sfollati, Vigili del fuoco, Protezione civile, persone che ho incontrato in paese, volontari. La buona volontà, per ora, prevale sul coordinamento delle forze».
Salomone è un imprenditore. Ha perso l’azienda, «ma ci sono cose più gravi – dice – non lo nascondo. Non è andato giù tutto, ma il sito non è agibile, sono cadute delle travi, stiamo aspettando di rientrare ma prima dovrà esserci un controllo di agibilità. Per una cosa del genere non sai da chi andare, vai a tentativi. Prima ero dai Vigili – racconta – ma prevale ancora l’emergenza, il bilancio delle vittime sta ancora crescendo. Hanno altre emergenze, mi rendo conto. Le scosse di assestamento si susseguono, è un continuo, anche stanotte sono state forti. Ho portato la famiglia via da qui, a Roma, dai parenti».
Marco ne è consapevole, e lo dice subito, quasi per ridimensionare l’importanza delle cose. Non riesce più a lavorare, ma la sua famiglia è salva, e anche i sui amici. Il terremoto, che sfugge ad ogni logica e fa tremare il suolo, sobbalzare i ruderi, incurante del buio e indifferente alle diatribe sulla prevedibilità dei sismi, ha risparmiato anche i cinque dipendenti della ditta.
L’Aquila è uno dei centri più colpiti, ma Salomone si dà da fare, come può. «Sto tentando di rimettere in piedi un ufficio, ma non sono ancora riuscito a quantificare i danni. Intanto i rack sono danneggiati, e per noi questo basta a bloccare tutto. Siamo in affitto, il capannone non è di mia proprietà, il proprietario ha già chiamato i costruttori, ma avremo parecchio tempo di fermo. E senza l’agibilità non possiamo rientrare a lavorare. Vedo davanti a noi settimane durissime».
La sosta forzata fa riflettere, come sempre quando qualcosa va storto. Ci si rende conto della propria impotenza, dice Salomone, e della propria fragilità. «Abbiamo fondato Eagle nel 2002. Il cosiddetto polo elettronico aquilano è rimasto in piedi fin quando è stato foraggiato dallo Stato, ma quando è stato lasciato a se stesso, a confrontarsi col mercato, è rimasto ben poco. Noi siamo qui per ragioni più sentimentali che economiche, io sono aquilano, ma il nostro volume d’affari è al nord. Ciononostante ci stiamo provando anche qui». Poi, d’improvviso, bisogna ricominciare. Una frase fatta, che stavolta ha la consistenza e la polvere delle macerie. «Credevamo di aver fissato noi il punto di partenza, ma non è così. Abbiamo ben poco potere, questa è la realtà. Bisognerà iniziare di nuovo, con quel che troviamo. Non vedo persone che sono qui ad attendere chissà cosa, c’è la volontà di tirarsi fuori, anche in chi è disperato e ha perso tutto».
In questi giorni, la sera, Salomone rientra a Roma, dalla famiglia. Al mattino riparte e torna a L’Aquila. L’obiettivo è trovare un posto in cui spostare i server, per recuperare un minimo di operatività. Nel frattempo sta al campo, o in auto. L’unico strumento è il telefono. «Mi sono riorganizzato per avere almeno una banca dati, i clienti ci stanno raggiungendo sui cellulari perché non riescono a contattarci in altro modo. Sanno benissimo quello che è successo. Ma hanno bisogno dei nostri servizi e noi non siamo in grado di erogarli. Potremo forse fare consulenza tecnica, ma senza struttura e con la parte commerciale ferma siamo destinati a perdere fatturato».
A tre giorni dalla scossa che ha tirato giù tutto, racconta Salomone, la disponibilità, in tutti, è massima, ma la buona volontà non basta. «Vedi che i Vigili non riescono a spiegarsi, a intendersi con quelli del Cai, con la Protezione Civile, e viceversa. Probabilmente le stesse azioni vengono svolte da più persone. Un sacco di gente si muove per andare a chiedere, basterebbero un paio di cartelli in due posizioni strategiche del paese. So benissimo che non posso pretendere nulla, faccio solo del mio meglio per tornare a lavorare. Stasera manderò un comunicato ai clienti per prendere ancora qualche giorno di tempo, e per dar loro dei canali su cui contattarci». Il futuro? «A seconda dei danni che abbiamo, farò appoggio su Roma o Sulmona. Non qui, non vedo alternative».