La visita del Papa in Terra Santa, durata ben 8 giorni, è giunta al termine ed è così che si affollano articoli, resoconti, reportage e improbabili pagelle sull’operato del Pontefice nell’affrontare forse il viaggio più complicato e insidioso che gli si poteva proporre.

Il senso di un viaggio – Già dal pre-partenza i migliori propositi c’erano tutti e la loro realizzazione concreta si è avuta durante questa settimana piena di visite, impegni, strette di mano, messe e incontri istituzionali. Non un elenco freddo e rigoroso di cose da fare, ma una serie di eventi che papa Benedetto XVI ha reso simbolici ed effettivamente degni di interesse grazie a gesti e parole mai banali, nemmeno quelle sulla Shoah, grazie a messaggi sociali forti come quello a margine della visita a Betlemme dove sorge un imbarazzante, quanto crudele barriera di separazione tra israelianiepalestinesi. «Anche se i muri – ha detto il Pontefice – possono essere facilmente costruiti, noi sappiamo che non durano per sempre. Però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il prossimo».



Dalla Giordania a Gerusalemme è risuonata chiara l’educata quanto determinata richiesta di pace da parte del Papa che non ha avuto timori nell’affermare la posizione del Vaticano per la soluzione in favore dei due stati per i due popoli, dove la violenza e il terrorismo siano accantonati, anche a partire dai giovani.



Un Papa pellegrino – Joseph Ratzinger è stato pellegrino umile e rispettoso camminando in luoghi che hanno concretato la bellezza e la storicità del Cristianesimo: la Natività a Betlemme, l’Annunciazione a Nazareth, il monte degli Ulivi e il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Ad ascoltarlo c’erano i pellegrini, la gente comune e tanti cristiani “arabi” che da tutto Israele e dintorni hanno raggiunto il Papa durante le celebrazioni a Betlemme e a Nazareth.

Nella città dove è nato Gesù, ora sotto il controllo dell’autorità palestinese, Israele ha concesso il permesso ad una manciata di cristiani di Gaza per raggiungere Betlemme e seguire la messa di Ratzinger. Nella città dell’annuncio a Maria erano in 40mila ad ascoltare la messa all’aperto che Benedetto ha officiato nel penultimo giorno della sua visita.



Una visita che ha confortato e rincuorato i cristiani israeliani e palestinesi che quotidianamente si trovano a vivere situazioni di disagio a causa di check point, visti, permessi, tensioni interreligiose e problemi di intolleranza. Ecco allora che l’arrivo del Papa, con le sue parole e i suoi gesti, è stato simbolo di salvezza e nuova linfa per chi è cristiano ogni giorno e lo è in quei territori. È stata la visita di un padre che abbraccia ed esorta i suoi a proseguire con coraggio verso un cammino di pace, nel rispetto dell’altro che professi una religione diversa, nel rispetto della dignità della donna.

Polemiche e malumori – Nonostante da più parti si invocasse un galateo delle dichiarazioni a favore di questo o di quell’altro evento, le parole di Benedetto sono state sempre adatte al momento, con rispetto e volontà di dialogo interreligioso. Si è potuto riscontrare in lui un’apertura, una gioia e una disponibilità, anche nel condannare certi atti, che non è cosa di tutti i giorni e che non può passare inosservata. Poi le polemiche rimangono una costante, il fil rouge di certa stampa, internazionale o locale che sia, ma che si arrende alla facciata senza provare a scavare tra le ragioni e i contenuti di gesti e discorsi del Papa. Dapprima le delusioni per il fatto che il Pontefice non abbia citato il nazismo nella sua visita allo Yad Vashem, poi sono dovute arrivare le rassicurazioni, da parte della sala stampa vaticana, per smentire l’appartenenza del Pontefice alla gioventù hitleriana. Per ultima la “perla” dell’Economist che bolla come disastrosa la prestazione del Papa nelle pubbliche relazioni. Pur provando a capire certe critiche, si ha l’impressione che si cerchi in tutti i modi di screditare chi, invece, ha sapientemente camminato con rispetto e fede attraverso la Terra Santa.

Ed è proprio in contrasto a tutta questa chiusura da parte di opinione pubblica, politici e quant’altri che si è rivelata ancora di più la bellezza e l’etimologia della Chiesa Cattolica: katholikòs (dal greco) cioè universale, aperta e sinceramente tesa a capire le ragioni dell’altro, senza dimenticarsi la sua umanità e il suo destino.

(Marco Fattorini)