In quella bolgia dantesca che ci ostiniamo a chiamare giustizia penale, dove i termini per i magistrati sono quasi tutti ordinatori e le proroghe una fisiologia processuale, ciascun giudice può tranquillamente scegliersi i tempi d’intervento.
Questa endemica disfunzione del nostro sistema giudiziario ha l’aggravante di minare la credibilità della magistratura ogni volta che la scelta – totalmente discrezionale – non si sottrae ad un tempismo davvero sospetto.
E’ quello che è accaduto con il deposito delle motivazioni della sentenza relativa al processo Mills, in piena campagna elettorale. Non vi è nessuna ragione al mondo – né tantomeno motivi di carattere tecnico-giuridico, per cui le motivazioni non avrebbero potuto essere depositate dopo il 7 giugno.
Per chi crede ancora alle coincidenze può essere utile il profilo biografico di Nicoletta Gandus, la presidente della prima sezione penale del tribunale di Milano, giudice nel processo Mills. Non certo benevola nei confronti del coimputato eccellente Silvio Berlusconi.
La Gandus, antica esponente di spicco di Magistratura Democratica, corrente iperpoliticizzata del CSM, è da sempre in prima fila nelle battaglie politiche, non risparmiando attacchi anche ad istituzioni come la Chiesa Cattolica e non disdegnando neppure complessi temi di natura internazionali, come la questione israelo-palestinese. Alcune tappe degli ultimi anni meritano di essere ricordate.
1) Nel 2001 Nicoletta Gandus firma un appello contro la “repressione” israeliana, in cui veniva espressa «la ferma condanna della politica di repressione violenta e di blocco economico messa in atto dal governo israeliano nei confronti della popolazione palestinese».
2) Nel 2002 partecipando, in Brasile, al social forum di Porto Alegre, quale rappresentante dei “magistrati democratici italiani”, denuncia il fatto che la deriva berlusconiana metta in discussione le prerogative costituzionali di autonomia e indipendenza, e dello stesso ruolo di controllo della legalità della magistratura in Italia. Grida a tutto il mondo che, grazie a Berlusconi, il “caso italiano” rappresenta uno «scandalo a livello internazionale»;
3) Sempre nel 2002, tornando alle questioni di casa nostra, firma un appello a favore dei referendum per la modifica della legge 40, quella sulla procreazione assistita, varata dalla maggioranza di centrodestra. Illuminanti le parole del documento: «Un Sì convinto ai quattro referendum sulla legge riguardo alla fecondazione assistita. Le ragioni che li motivano le abbiamo maturate non da ora, ma nel percorso politico con le donne, iniziato con la riflessione su aborto e sessualità femminile. Rifiutiamo la logica proibizionista di una legge costruita su divieti ed obblighi, senza rispetto della salute, prima di tutto delle donne».
4) Nel 2004, a Milano, rispolverando la sua qualità di esponente del Collettivo Donne e Diritto, partecipa alle manifestazioni in favore della Legge 194 sull’aborto. In un’intervista al giornale comunista “Il Manifesto” commenta: «È un altro segnale del desiderio di donne e uomini di partecipare alla politica. È stata un’affermazione di libertà, in 200 mila abbiamo detto che non esiste una sola morale». Del resto la questione della Legge 194 è una vecchia passione della magistrata d’assalto.
Nel 1981, infatti, affrontò il caso dell’allora presidente della Regione Lombardia, Cesare Gofari, che il giudice assolse dall’accusa di violazione della legge sull’aborto, perché pareva fosse emerso che, in molti ospedali lombardi, non veniva applicata la legge 194 sull’interruzione di gravidanza.
5) Poco prima delle elezioni del 2006 (evidentemente le scadenze elettorali sollecitano particolarmente i suoi interventi) scende in campo per firmare il documento-programma del procuratore Armando Spataro, nel quale viene sferrata una dura reprimenda all’operato del governo Berlusconi, accusato di aver stravolto le leggi a beneficio di pochi. Il giudice Gandus non ha alcun problema a schierarsi pubblicamente per una parte politica contro l’altra.
Dopo aver definito quella berlusconiana come «una delle più tormentate e controverse legislature della storia repubblicana», nel documento si guarda con speranza alla «prospettiva di un cambio di governo».
Alla coalizione guidata da Prodi veniva chiesto un impegno espresso, preciso e incondizionato ad operare immediatamente «per la cancellazione delle principali leggi che sono state adottate quasi esclusivamente al fine di perseguire gli interessi personali di pochi, ignorando quelli della collettività». «Si tratta di leggi – prosegue il documento – che, a prescindere da ogni altra considerazione, hanno devastato il nostro sistema giustizia e compromesso il principio della ragionevole durata dei processi».
5) Sempre nel 2006, firma una lettera aperta inviata al Parlamento italiano sulla laicità, in cui, dopo aver premesso che «uno Stato è laico se religioni e ideologie non hanno influenza sul governo della società», arriva, tra l’altro, a contestare l’«ossessivo richiamo da parte della Chiesa cattolica a valori e modelli unici» scorgendo con preoccupazione in questa «forma di apostolato, vene di integralismo e di contrapposizione ad altri integralismi».
4) Dopo la vittoria di Prodi, nel giugno del 2006, non riesce a trattenere la propria irrefrenabile necessità di intervento anche in materia di riforme istituzionali.
Pronuncia parole di fuoco nel dibattito sorto durante il referendum sulla devolution: «È importante opporsi a questa devolution perché è espressione della generale posizione antidemocratica». Aggiungendo la sua personale “Carthago Delenda Est”, torna a tuonare sempre sullo stesso tasto: la devolution «è sovrastata da un incombente potere autoritario e centralista, concentrato nelle mani del capo del governo». Sempre Lui, l’odiatissimo Silvio Berlusconi.
A noi non interessano le carte processuali. Berlusconi può essere colpevole o innocente.
Ciò che in questa sede conta è ragionare dell’immagine di imparzialità e terzietà, che sempre deve necessariamente caratterizzare l’azione di un giudice nei modi e nei tempi in cui essa si esercita.
L’Elogio dei Giudici scritto da quel grande giurista, e insospettabile Padre della Repubblica, che fu Piero Calamandrei, è stata una delle mie letture preferite durante gli anni giovanili ed ha accompagnato i miei primi passi nella professione forense.
Quegli scritti – che sono convinto la Dott. Gandus conosca bene – contengono inestimabili perle di saggezza giuridica. Una delle più note ci insegna che «i magistrati non basta che siano imparziali, occorre anche che si comportino in modo da apparire tali ».
Sul primo punto – essere imparziali – non abbiamo alcun motivo per dubitare dell’onestà intellettuale e professionale della Dott.ssa Nicoletta Gandus. Sul secondo punto – apparire imparziali – ci permettiamo sommessamente di nutrire qualche perplessità.