Mentre sono sempre più numerose le famiglie italiane che si preoccupano per i loro figli, e nonostante l’inarrestabile diffusione delle droghe nel nostro Paese, c’è ancora chi inspiegabilmente insiste nell’inneggiare allo “spinello libero” fornendo informazioni incomplete o tendenziose. È quanto è accaduto in questi giorni con l’articolo “Legalizzare la marijuana: l’America di Obama ci crede” firmato da Alessandra Farkas per il Corriere della sera del 20 maggio 2009. Commentiamone qualche passaggio. Già il titolo dell’articolo ci lascia perplessi: l’America “di Obama” ci crederebbe?
In realtà il Presidente Barack Obama ha già chiarito la sua posizione, per nulla ricordata in questo articolo: il 27 marzo 2009 Obama ha detto no alla legalizzazione interrogato da un audience durante una relazione su temi economici avvenuta mediante il sito web della Casa Bianca: “President Barack Obama said no when asked by an online audience whether he would legalize, tax and regulate marijuana in order to boost the U.S. economy” (The New York Times). Una risposta chiara dunque, da parte di Obama, agli attivisti pro cannabis citati nell’articolo del Corriere che propongono di “iniettare preziosi fondi nelle casse statali oggi depauperate”.
Nell’articolo della Farkas poi si sottolinea che promotore della nuova e vincente campagna pro-spinello sarebbe Ethan Nadelmann, il 52enne direttore esecutivo della Drug Policy Alliance, del quale si fa notare la benemerita personalità: “Il classico sballatone reduce da Woodstock? ‘Niente affatto’, replica il New York Times, ‘Nadelmann ha una laurea in legge e un dottorato da Harvard’”. Come dire che basta avere una laurea e un dottorato (che del resto avevano anche molti gerarchi nazisti) per essere annoverati tra i Giusti di una società, come quella Occidentale, che ha problemi ben più gravi e seri da affrontare che la legalizzazione della droga. Anzi andrebbe ricordato che i Giusti non sono quelli che agevolano l’accesso dei giovani a droghe che rimbambiscono il cervello, bensì coloro che, dotati appunto di un sapere (conseguito magari ad Harvard), lo mettono a disposizione affinché le nuove generazioni crescano in maturità e competenze adeguate per affrontare intelligentemente un futuro incerto e di crisi.
Ma continuiamo: nell’articolo si evidenzia che lo studioso di Harvard “tra i suoi sponsor annovera persino il finanziere di origine ungherese George Soros, le cui generose donazioni gli permettono di mantenere uno staff di 45 persone in ben sette città Usa, impiegate a tempo pieno per la legalizzazione”. Qui sorge una domanda spontanea e ingenua: ovunque nel mondo ci sono bambini sull’orlo dell’abisso travolti dalla miseria e dalle guerre, ci sono persone abbandonate a se stesse che hanno bisogno di cure e soffrono di malattie devastanti, ci sono mani tese ad ogni angolo delle nostre città… Perché allora così apprezzate “generose donazioni” non vengono rivolte a questi bisognosi, mantenendo magari 45 medici capaci di curare la lebbra o la cecità perinatale, anziché essere utilizzate per favorire l’uso della droga?
Ultima riflessione: ma l’Occidente, di cui spesso gli Usa vengono presentati come modello, è davvero così interessato alla legalizzazione della marijuana? Non si direbbe, e lo dimostrano alcuni fatti di cui il lettore italiano non è purtroppo informato. L’Onu si è già espressa da anni sul tema: nel 2006 pubblicava e diffondeva il primo numero del magazine Perspectives intitolato Children and Drugs. Qui Ted Legget (l’esperto della Sezione Ricerca e Analisi dell’Ufficio Nazionale sulle Droghe dell’ONU, UNODC) presentava un ampio articolo sui danni fisici e psichiatrici prodotti dalla cannabis rilevati dalle moderne ricerche, e Antonio Maria Costa, direttore esecutivo dell’UNODC commentava negativamente l’atteggiamento lassista di chi crede ancora alla droga “leggera” o “ricreativa”, producendo una mentalità favorevole al consumo di ulteriori droghe, e dichiarandosi contrario a qualsiasi forma di legalizzazione: «le droghe sono illegali perché sono pericolose, non pericolose perché illegali».
Non solo: nel 2006 l’Onu suscitò il dibattito sulla cannabis introducendo nel suo rapporto annuale (World Drug Report 2006) un intero capitolo che presentava, alla luce delle più recenti ricerche, la reale pericolosità di questa droga (Cannabis: why should we care), invitando i governi più attenti a varare provvedimenti per contrastare in tutti i modi il consumo di marijuana tra i giovani. Indicazione che venne recepita immediatamente dagli Usa che hanno avviato la Strategia nazionale di controllo delle droghe combattendo innanzitutto proprio la marijuana con ottimi risultati (l’uso attuale di tutte le droghe illecite utilizzate dai giovani in USA è sceso del 24% dal 2001 ed Obama di certo non ha intenzione di rinunciare a tali successi); ma anche dal Ministero della Salute francese con la campagna “Le cannabis est una realite” o dalla Spagna con la campagna “Cannabis e Cocaina: quei treni che è meglio non prendere”.
Senza parlare della Gran Bretagna in cui la cannabis è stata ricollocata nella Classe B delle droghe, data la sua pericolosità segnalata da più parti tra cui i 50 (dei 51) tribunali minorili inglesi che hanno chiesto ufficialmente al Governo di prendere seri provvedimenti contro una droga riscontrata alla base di innumerevoli atti di vandalismo e delinquenza tra i più giovani.
Torniamo per concludere all’articolo della Farkas: secondo la giornalista sarebbero i babyboomers i principali sostenitori pro cannabis in Usa: “sarebbero proprio loro, oggi 50enni e 60enni, l’anima del nuovo movimento. ‘Negli anni ’70 i nostri genitori non avevano la più pallida idea della differenza tra marijuana ed eroina’, spiega Nadelmann. ‘La mia generazione al contrario la conosce bene per averla usata, senza per questo passare alle droghe pesanti come sostiene qualcuno”. Ma, ci chiediamo, è ancora necessario e vitale per la nostra società tanto bisognosa di rinnovamento affidarsi al parere di queste persone faticosamente legate a visioni che ormai tutte le scienze tossicologiche e neurobiologiche hanno smentito? Meglio ascoltare cosa ne pensano i ben più attenti giovani (ma anche questo nell’articolo non è detto): una ricerca continentale dell’Eurobarometro ha fatto notare che il 67% dei giovani europei vuole che l’uso libero (legalizzazione) di marijuana e hashish venga impedito. Si veda infatti lo studio Commissione Europea, Flash Eurobarometer, Young people and drugs among 15-24 year-olds. Analytical Report, maggio 2008, scaricabile gratuitamente qui.
Cominciamo allora da qui, da una più completa informazione, per fare del bene ai nostri ragazzi ai quali potremmo proporre la lettura del libro di Claudio Risé Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita (San Paolo Ed., 2007, www.claudio-rise.it) e l’esame della lettera che nel 2002 l’American Psychiatric Association, con altri enti governativi e fondazioni che si occupano della salute degli adolescenti, ha firmato e inviato a tutte le famiglie statunitensi per allertarle sul fatto che l’uso di cannabis può essere alla radice di diverse forme di disagio e di seri disturbi mentali nei giovani. Tra questi: perdita di interesse e motivazione nei confronti della vita, ansia, depressione (soprattutto nelle ragazze), psicosi e schizofrenia. Solo dopo il confronto di tutte le fonti, potremo forse tornare a un libero dibattito.