Altissime cariche istituzionali del nostro Paese hanno esternato l’idea di un’Italia multietnica, ribadendo convinti che il multiculturalismo rappresenti l’inestimabile ricchezza di una grande nazione.

Chi ha osato dissentire è stato immediatamente bollato come becero xenofobo.

Su questo argomento si sono arrovellati fior di pensatori da Jürgen Habermas a Giovanni Sartori e certo il tema non può essere liquidato con poche battute.



Ma anche per tale fenomeno vale l’insegnamento dato da don Luigi Giussani: per un’indagine seria su qualsiasi avvenimento occorre realismo, ovvero la necessità di non privilegiare uno schema mentale rispetto all’osservazione della realtà.

Alexis Carrell ammoniva che «poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità».



Se utilizziamo il metodo di Carrell – suggerito da Giussani – allora non ci resta che osservare cosa accade nei Paesi multiculturali e quindi verificare che anche per il multiculturalismo vale la differenza storica che vi fu tra socialismo teorico e socialismo reale.

L’occasione ce la offre un episodio recentemente accaduto in Gran Bretagna, Paese un tempo considerato cristiano.

La BBC ha nominato un musulmano, Aaquil Ahmed, responsabile dei servizi religiosi della prestigiosa emittente. Mr. Ahmed non è un musulmano qualunque. Prima di essere chiamato alla BBC, ha lavorato alla rete televisiva Channel 4, dove ha avuto modo di suscitare scandalo grazie alle sue trasmissioni di studio sul Corano ed ai documentari sul «Culto degli attentatori suicidi».



Persino l’Arcivescovo di Canterbury, capo della Chiesa anglicana, personaggio più vicino al manzoniano Don Abbondio che al conterraneo re-crociato Riccardo Cœur de Lion, ha trovato il coraggio di denunciare pubblicamente – usando una metafora sportiva – che dopo la nomina di Mr. Ahmed «la voce dei cristiani sta per essere messa in panchina».

La nomina è stata vista come inevitabile conseguenza della società multiculturale dal Direttore Generale della BBC, Mark Thompson, e non a caso Aaquil Ahmed è membro del direttivo di Runnymede Trust, un’organizzazione che promuove il multiculturalismo.

Thompson, peraltro, non ha avuto problemi a sostenere pubblicamente che l’islam va trattato con maggior tatto rispetto al cristianesimo, perché, anche se «nessuna religione è immune da discussione, le sensibilità divergono e di questo se ne deve tener conto».

E proprio in forza di una visione multiculturale, la BBC ha completato l’opera nominando come produttore del più importante programma religioso “Songs of Praise” (Canzoni di Lode) un Sikh indù, Tommy Nagra, e come consulente della programmazione religiosa un ateo militante, Andrew Copson, membro della “British Humanist Association” organizzazione che annovera tra i propri scopi anche quello di «far cessare la posizione privilegiata della religione nella vita pubblica, compresa la telecomunicazione».

Il multiculturalismo britannico – modello oggi più avanzato in Europa – non si limita, del resto, al mondo del video.

Su pressione dei mussulmani, oggi in Gran Bretagna il Corano è posto su uno scaffale superiore rispetto alla Bibbia nelle aule di giustizia, e la sharia è fonte normativa utilizzata nelle controversie legali di competenza dei Muslim Arbitration Tribunals, organi che oramai fanno ufficialmente parte dell’ordinamento giuridico inglese.

Per non parlare del Natale declassato a “festa della luce invernale”, del divieto imposto ai consiglieri comunali di Tower Hamlets, East London, di non consumare cibo nel corso delle sessioni comunali durante il mese di Ramadan, e della disposizione dello stesso consiglio comunale, guidato dal musulmano Lutfur Rahman, di rinominare il consueto pranzo natalizio per i membri dello staff, come “pranzo festivo” e di vietare la celebrazione del Guy Fawkes, festa popolare in cui gli Inglesi si divertono a bruciare un fantoccio fin dal 1605.

In un numero sempre maggiore di college le tradizionali festività di Natale e Pasqua vengono sostituite con il termine “fine della pausa semestrale”, per timore di offendere le minoranze etniche e per «incentivare l’inclusione e la diversità», mentre le scuole di Manchester hanno ufficialmente introdotto nel calendario scolastico le festività musulmane.

Grazie al multiculturalismo il governo britannico riconosce oggi i matrimoni poligami.

Sebbene la Gran Bretagna consideri la bigamia un crimine, punibile con la reclusione fino a sette anni, i matrimoni poligami sono pienamente riconosciuti nel caso in cui siano stati contratti in paesi dove la poligamia è legale, e nei quali, al momento del matrimonio, i coniugi erano residenti. 

Apportando le dovute modifiche al “Tax Credits (Polygamous Marriages) Regulations 2003”, infatti, oggi è consentito a più mogli di ereditare esentasse, purché il matrimonio sia stato contratto in un paese dove la poligamia è legale, come in Nigeria, Pakistan o in India, mentre il Dipartimento per il Lavoro e le Pensioni (DWP) ha iniziato a concedere sostegni finanziari agli harem sotto forma di sussidi, come indennità di disoccupazione, assegni integrativi per inquilini non abbienti e sgravi fiscali di vario genere.

Un mese fa la stampa inglese ha dato la notizia che, dopo una disamina durata dodici mesi, quattro dipartimenti governativi (Lavoro e Pensioni, Tesoro, Fisco e Dogane, Ministero degli Interni) sono giunti alla conclusione che in una società multiculturale il riconoscimento ufficiale della poligamia sia “the best possible option”, la migliore opzione possibile per il Governo britannico. Lo stesso governo che attraverso il suo giovane ministro degli esteri, David Miliband, è incorso in una sintomatica gaffe: proprio dal Foreing Office sono stati spediti alle ambasciate gli auguri ufficiali per la festività del ramadan e del capodanno ebraico, ma non quelli di Natale e di Pasqua.

Il ciclone del multiculturalismo non ha neppure risparmiato la Monarchia britannica.

E’ di pochi giorni fa la notizia che, su pressione di gruppi musulmani ed indù, il Privy Council – il Consiglio Privato della Corona – con una decisione del 28 aprile 2009 ha ritenuto incostituzionale ed illegittima l’onorificenza della Trinity Cross, croce della trinità, dell’Ordine della Trinità poiché discriminatoria ed offensiva nei confronti dei non cristiani. Cinque alti magistrati (Law Lords) si sono pronunciati nel senso che tale onorificenza rappresenti una palese violazione del diritto di eguaglianza, e della libertà di coscienza e di religione. Giuristi sono già al lavoro per una profonda revisione di tutte le onorificenze di Sua Maestà.

Persino al povero Principe Carlo è stato imposto l’impegno a modificare, nell’ipotesi in cui dovesse un giorno assumere lo scettro, il titolo che spetta ai sovrani inglesi di “Defender of the Faith” (Difensore della Fede), titolo concesso dal Papa ad Enrico VIII nel 1521, in “Defender of Faith” (Difensore di Fede). L’articolo è caduto in omaggio al multiculturalismo affinché la difesa non si limitasse alla sola religione cristiana ma si estendesse anche a quella musulmana, indù, animista e a tutte le altre che compongono la variopinta società britannica.

Se questa è la prospettiva multiculturale cui siamo inesorabilmente destinati, è ancora possibile dissentire dagli autorevoli pareri della prima e della terza carica del nostro Stato sul fatto che una simile prospettiva costituisca davvero una ricchezza inestimabile?

Forse hanno ragione quella altre cariche istituzionali che tendono, invece, a mettere in guardia dal rischio di una deriva multiculturale. Quella del multiculturalismo reale.