Che atmosfera strana oggi a L’Aquila. La notte che sta per arrivare incute timore. Un mese fa, alle 3.32, il terremoto che ha devastato e ferito la città. I giovani si stanno dando appuntamento per trascorrere la notte all’aperto, svegli. Un modo per esorcizzare quanto successo, un modo per vivere insieme il ricordo di un triste e doloroso momento. Solo attraverso la compagnia si superano i momenti difficili.
Domani un consiglio regionale a un mese dal sisma, con la partecipazione dei Presidenti di Camera e Senato. Domani una messa del vescovo Molinari nella tendopoli principale. L’Aquila si prepara a un giorno difficile, che porterà con sé il ricordo di amici e parenti morti, di case crollate, di dramma, di paura. Oggi su un’auto dei vigili del fuoco sono tornato in centro storico. Vuoto, silenzioso, desolato. In Piazza Duomo ho rivisto la chiesa delle Anime Sante. In gran parte distrutta, ma con i tecnici che la stavano “legando”. Le operazioni di recupero sono già in atto. Ho ripensato alla messa del vescovo in quella chiesa la settimana prima del terremoto, per chiedere l’intercessione di Sant’Emidio. Poi il crollo le macerie.
Per me oggi è stata una giornata importante professionalmente. Sono riuscito ad avere l’elenco delle zone dove si procederà alla ricostruzione delle nuove case antisismiche. Un documento che doveva rimanere segreto e che lo staff di Guido Bertolaso mi aveva negato. Poterlo pubblicare in anteprima è una soddisfazione personale. Girando per uffici alla ricerca di qualcuno che me lo passasse sottobanco mi sono imbattuto in una signora, non più giovanissima. Appena ha visto me, una collega e la telecamera ci si è avvicinata. Ha chiesto spiegazioni su come poter intervenire sulla sua casa, distrutta dal terremoto, senza attendere troppo tempo.
E’ proprio la mancanza di informazioni alla gente uno dei punti deboli di questa situazione. La gente, quella comune, non sa dove andare a chiedere spiegazioni con la certezza di avere risposte chiare. Agli uffici del Comune gli impiegati non sono preparati, non c’è stata formazione. E la gente, in mezzo a mille difficoltà, gira per la città, da un capo all’altro. Fino ad arrabbiarsi. La signora, invece, era tranquilla. Sperava solo di poter cominciare i lavori e farli pagare direttamente allo stato. «La mia casa è distrutta – ha detto – non ho soldi da parte. Voglio solo che mi ridiano la casa, me la ricostruiscano». E ha continuato a raccontare che adesso stava da parenti, a Tornimparte, la montagna a ovest dell’Aquila.
Ho guardato la donna, oltre la sessantina, stupito. Era a cavalcioni di una mountain bike. La salita verso il paese che la ospita non sarebbe agevole anche per me pedalando. La donna ha raccontato che un tempo quella strada la si faceva a piedi e in bicicletta è quasi un lusso. Prima di ripartire ha detto che i giornali devono insegnare alla gente cosa fare, spiegare quello che si deve capire, dare risposte che negli uffici non danno. Un richiamo alla realtà della nostra professione, troppo spesso solo amplificatore delle chiacchiere dei politici o del gossip da cronaca nera.
La bicicletta che si allontanava mi ha fatto ripensare a un mese fa. Ho capito che questo mese di lavoro è stato diverso. Diverso nel modo di rapportarmi con gli amici di sempre ma anche verso chi mi leggeva ogni giorno. In questo mese è stato come se fossi in bicicletta anche io per lavorare. L’assenza dell’ufficio mi ha fatto guardare in faccia la gente, chiamandola per nome.
(Fabio Capolla – Giornalista de Il Tempo)