L’ultima volta che l’ho incontrato, Massimo Caprara non poteva più parlare. Entrando nel suo studio avevo provato una stretta al cuore, pensando a quanto dovesse essere difficile per lui. Aveva consacrato la sua vita alla testimonianza del miracolo che gli era accaduto. E adesso faticava perfino a salutare un amico. Mi ero chiesto, quasi irritato, perché il Signore lo stesse privando proprio dello strumento con cui aveva conquistato i cuori di centinaia di persone, compreso il mio. Eppure, quel giorno, non avevo potuto fermarmi alla rabbia. Un istante dopo lo avevo guardato negli occhi. E quello sguardo, lo sguardo in fondo con cui ci siamo congedati, mi si è piantato nel cuore. In quel volto di ottantenne erano due occhi da bambino che mi sorridevano, pieni di letizia.
“Come può un uomo nascere quando è già vecchio?”. Forse è proprio lo stupore di Nicodemo che meglio descrive la mia amicizia con Massimo. In fondo è stato il rinnovarsi, ogni volta con maggiore intensità e coscienza, di questa domanda.
Fin dal primo incontro, quando con alcuni amici lo ascoltammo ad un convegno a Milano: ci colpì fin da subito la nettezza del giudizio rispetto al suo trascorso nel Partito Comunista, (“inconsapevole prigioniero di una terribile ideologia”). E nello stesso tempo il coraggio e l’energia di un uomo che non solo si era lasciato quel passato alle spalle, ma che viveva ora una grande domanda: “Adesso sono solo un uomo in cerca della verità”. Insomma, ci aveva incuriositi. Fu così che lo invitammo al liceo scientifico di Trescore, frequentato da alcuni di noi; il consiglio d’istituto aveva approvato il progetto all’unanimità, orgoglioso di ospitare un così degno rappresentante del Partito. Si erano persi qualche passaggio della vita di Caprara. Ma non fu tanto l’incontro, pur entusiasmante, a sconvolgerci quel giorno. Fu il pranzo che seguì, a casa di uno degli organizzatori. Quando Massimo parlò di sé, del suo cammino degli ultimi anni, del paziente risvegliarsi di quell’anelito religioso rimasto sopito per tanto tempo, ma mai scomparso del tutto, custodito nel tenero ricordo della madre. Quando Massimo, di fronte a tutti noi, si commosse, pronunciando il nome dell’unico che poteva offrire quella verità tanto desiderata: “Cristo”. Ma che uomo era costui? Non potevamo abbandonarlo.
Così con i primi anni di università incominciarono anche le visite a casa Caprara, un appartamento seminascosto in centro a Milano. Io, Amir, Elena, insieme a Gianni Mereghetti, e poi altri ancora. Prima con il sacro timore di chi si accostava ad un monumento, ad un’autorità: uno che aveva vissuto spalla a spalla con Togliatti, che aveva stretto la mano a Stalin, che aveva scritto la nostra Costituzione; e poi, col passare del tempo, con sempre maggior familiarità e cordialità. Si moltiplicavano così gli incontri, i pomeriggi passati con lui e la sua devotissima moglie Iolanda. Sui divanetti del suo studio, a dialogare di storia e politica, o per l’Italia, accompagnandolo in alcuni dei suoi innumerevoli incontri.
E poi quel pomeriggio, scioccante. Io e Amir stavamo uscendo dal suo appartamento dopo una delle consuete visite; sulla soglia Massimo ci guarda e scoppiando a piangere ci dice: “Grazie, voi siete le mie colonne”. Tornammo a casa in silenzio, sconvolti: cosa stava accadendo? Cosa avevano due ventenni da insegnare ad un uomo così? Non ce ne eravamo ancora accorti. Semplicemente eravamo di fronte ad un miracolo. Lentamente, attraverso l’amicizia con noi, attraverso quel primo Meeting a Rimini, attraverso l’incontro con don Giussani nei suoi testi, Massimo stava iniziando la sua Vita Nova, come la definì. L’uomo che aveva pianto solo di fronte a Stalin, ma per il freddo di Mosca, adesso si commuoveva non di fronte a noi, ma di fronte alla tenerezza della presenza di Cristo, nella nostra e nella sua vita.
La sera stessa gli scrissi, ringraziandolo per la promessa che la sua vita mi aveva testimoniato. La sua risposta fu impressionante, come sempre: “Siamo uniti da una fruttifera amicizia che si fonda sull’Avvenimento, sull’Incontro, sull’Annunzio. Non vi sono, in questo, gerarchie, anzianità, qualifiche, ma solo una comune letizia per la Scoperta […] l’inesauribile capacità non del passato, né dell’utopia, ma dell’attualità incondizionata della Presenza”.
Abbiamo così avuto in questi otto anni, semplicemente, una grande grazia: godere dell’amicizia di uno che, incontrando Cristo, si è riscoperto uomo. E ci ha aiutato a riscoprirci tali.
Si può nascere quando si è già vecchi? Sì. Ed è una promessa per tutti.
(Stefano Nembrini)