Un’atmosfera strana, inconsueta. I ragazzi che si sono presentati ieri all’esame di maturità non avevano il vocabolario sotto il braccio, non avevano i rotolini con i temi già fatti sperando di beccare quello giusto da poter copiare. Ieri a L’Aquila gli esami di maturità erano diversi dal solito, avevano ancora il sapore del terremoto, con le paure, le angosce, i drammi e i dolori che la scossa del 6 aprile ha lasciato dentro tutti. L’esame di maturità è solo con le materie orali, senza scritti. Gli studenti si sono preparati insieme, chi sotto le tende, chi in un albergo della costa abruzzese, chi dialogando attraverso internet. In tutti i giovani che ho incontrato la cosa più importante che andava salvaguardata e tenuta stretta nella preparazione agli esami di maturità era l’amicizia, lo stare insieme, il sapere che la loro forza era nell’aiuto che dava il compagno. Un modo nuovo e diverso di studiare, un nuovo modello educativo che è passato attraverso il confronto.



«Vogliamo dimostrare che siamo degni della promozione – ha raccontato Elena, studentessa del Liceo Scientifico, che sta ancora vivendo l’ansia delle ore che mancano alla sua interrogazione – io come tante mie amiche voglio essere promossa perché valgo, perché mi sono impegnata. Non accettiamo aiuti o compassione. Certamente è stato un momento difficile, lo studio e la scuola per molti giorni sono passati in secondo piano, anzi completamente cancellati dalla mente. La maturità quest’anno ha significato fatica, fatica nello studio, ma soprattutto fatica nella concentrazione. Le scosse che non sono mai finite, il ricordo di quello che era prima del sei aprile, il dramma di dover vivere in una tendopoli, di non potermi fare la doccia prima di uscire con gli amici, di potermi svagare dopo una giornata di studio, ha pesato e continua a pesare. Ma l’obiettivo è guardare avanti, sarà un esame di maturità che non scorderò mai per tutta la vita, ma è anche un punto di partenza per vivere la mia città. L’anno prossimo mi iscriverò all’università a L’Aquila perché dobbiamo essere capaci di essere i cittadini di domani».



«Il colloquio d’esame – spiega il professor Ferdinando Nardecchia, insegnante di lettere all’Itc – si svolge con gli stessi alunni che seguo da cinque anni e che conosco molto bene. Ebbene a causa di un’evidente tensione del sistema nervoso alcuni sbagliano risposte più che ovvie, alle quali in situazioni normali avrebbero risposto correttamente». Anche per i professori, non solo per gli alunni, sono esami diversi. Loro sono adulti, hanno famiglie, spesso case distrutte, a volte amici e parenti morti sotto le macerie. Difficile trovare un aquilano che non ha perso un affetto. Anche per i professori il clima è pesante, sicuramente meno apprensione ma sono docenti che per anni hanno seguito i propri alunni, a loro si sono affezionati, a loro dedicano questo momento, severità e comprensione. Perché tutti vogliono dimostrare cosa vuol dire raggiungere la maturità.



(Fabio Capolla – giornalista de Il Tempo)

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