Caritas in veritate, l’enciclica sociale di Benedetto XVI, è un documento complesso che richiederà molta riflessione anche per valutare la sua collocazione nella continuità della dottrina sociale cattolica alla quale Giovanni Paolo II ha dato, soprattutto con la Centesimus annus (1991), un notevole slancio, così come l’aveva dato Paolo VI con la Populorum progressio (1967). Due veri e propri snodi della dottrina sociale dalla Rerum Novarum (1891).

L’economista deve essere consapevole che il fondamento e la prospettiva dell’enciclica è teologico-antropologica e che un riflessione su di essa soltanto di tipo istituzionale-sociale-economico è parziale. Ma non perciò inutile, in quanto la dottrina sociale cattolica offre un orientamento ideale, a-temporale e a-spaziale, a tutti coloro che nelle diverse responsabilità devono affrontare e risolvere problemi socio-economici in un momento storico e geografico specifico. La dottrina sociale non propone invece modelli economici e politici (Centesimus annus, 43; Caritas in veritate, 9)

L’intonazione della Caritas in veritate è che la crisi e le difficoltà di cui al presente soffrono gli stati, la società e l’economia sono dovute innanzitutto alla mancanza o alla carenza di un’adeguata ispirazione solidaristica orientata al bene comune, che significa “…prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città” (7).

Ciò pone il problema del significato dello sviluppo e di come perseguirlo. Una risposta unificata e unificante al problema dello sviluppo orientato al bene comune e alla promozione della persona si può trovare nella Caritas in veritate, in linea con la Centesimus annus, nella combinazione di sussidiarietà e solidarietà, due principi costanti della dottrina sociale cattolica. “Il principio di sussidiarietà – afferma infatti l’ultima enciclica di Benedetto XVI -va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa, perché se la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno” (52). Affermazione che viene completata dalla seguente: “Manifestazione particolare della carità e criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti è senz’altro il principio di sussidiarietà espressione dell’inalienabile libertà umana” (57).

La Caritas in veritate enfatizza questi grandi ideali, che sono anche criteri operativi, affiancandoli con quelli della complementarietà tra giustizia commutativa, che presiede ai contratti, giustizia distributiva e giustizia sociale, che si fondano e generano equità e fiducia. Così l’enciclica afferma che “Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave” (35).

Rielaborando e sintetizzando la Caritas in veritate, anche in base alla Centesimus annus, chiarisce che tutto ciò passa attraverso le istituzioni (che fissano le regole e le fanno rispettare), la società (che opera su un principio di coesione e di convinzione), il mercato (che opera secondo criteri economici di convenienza e non contro il bene comune fissato dalle regole di concorrenza e di correttezza). L’equilibrio tra queste forze dovrebbe essere ispirato da un convinto (e non costretto) solidarismo operante così da combinare libertà e responsabilità.

I principi generali prima enunciati trovano molte applicazioni nella Caritas in veritate, che come intonazione preferisce quella che ricrea o rafforza gli ideali a quella di una logica economica che, fuori dalla storia e dagli ideali, diventa meccanicismo. Ponendoci tra ideali e logica dovremmo valutare le proposizioni dell’enciclica sulle istituzioni, sulla società, sul mercato, sull’economia, sul profitto, sul terzo settore, su sviluppo e sottosviluppo, sulla globalizzazione, sulla crisi. In definitiva tutti i grandi temi del XXI secolo, ma anche eredità del XX. Impossibile trattarli tutti. Concentriamoci allora, in questa occasione, sul modo di intendere l’impresa (come risulta in Caritas in veritate, 40). Si afferma che l’impresa non deve tenere conto solo degli interessi dei proprietari, pur legittimi e meritevoli di tutela, ma anche di tutti gli altri soggetti coinvolti nella sua attività: lavoratori, clienti, fornitori, comunità e territori di riferimento. Sappiamo che questo convincimento, snaturato dalle dottrine libertarie che con il loro assoluto del “creare valore a qualunque costo per gli azionisti” ritengono che a tal fine basti il liberismo, risponde spesso alle esigenze degli imprenditori migliori; i quali nella loro attività esplicano una creatività personale e comunitaria che trova nel profitto un complemento irrinunciabile, ma non sufficiente, per far sì che l’impresa stessa prosperi.

La Caritas in veritate, in linea con la Centesimus annus, esprime l’apprezzamento per le opere di questi imprenditori, così incoraggiando gli altri a seguire il loro esempio. Ed ecco come nel caso specifico dell’impresa economica gli ideali si traducono in fatti, vivendo nella libertà responsabile di intrapresa.