Approvata quasi nella notte dal Consiglio di Amministrazione dell’Aifa la immissione in commercio della pillola abortiva, la Ru486. Poniamo alcune domande ad Assuntina Morresi, docente di Chimica Fisica all’Università di Perugia, componente del Comitato Nazionale di Bioetica, e soprattutto consulente del sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, che si occupa di queste problematiche.



Dopo sei ore di riunione il CdA dell’Aifa ha approvato a maggioranza l’immissione in commercio della pillola abortiva Ru486. Quindi adesso le polemiche sono finite?

Veramente siamo solo all’inizio. Aspettiamo che l’Aifa renda pubblico tutto: il dossier sulle ventinove morti dopo la somministrazione di mifepristone che ha ricevuto dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, il carteggio in corso fra il Ministero e i tecnici Aifa, e soprattutto le motivazioni dei tecnici Aifa, che devono spiegare all’opinione pubblica perché ritengono che questo farmaco abortivo abbia tutti i requisiti di sicurezza per essere commercializzato.
Aspettiamo poi dall’Aifa chiarimenti su come la somministrazione della pillola abortiva potrà essere resa compatibile con la legge 194 e con i pareri del Consiglio Superiore di sanità.



Quali sono i problemi di compatibilità con la legge?

Con il metodo farmacologico non è possibile prevedere quando avviene l’espulsione dell’embrione. Ma secondo la legge vigente, come pure secondo due pareri del Consiglio Superiore di Sanità, perché i rischi di aborto medico e chirurgico siano sovrapponibili, l’aborto deve essere completato in ospedale. Quindi le donne dovrebbero essere ricoverate da tre a quindici giorni, per rispettare la legge.

Infatti, da dichiarazioni di Bissoni, membro del CdA Aifa, si sa che la pillola verrà somministrata solo in ospedale, entro le sette settimane di gravidanza, in modo che le complicanze fra i due metodi siano sovrapponibili.



Interessante che lo dica proprio lui, l’assessore alla Sanità dell’Emilia Romagna.

Perché?

Perché in Emilia Romagna l’aborto medico, praticato dal 2005 importando direttamente dalla Francia la Ru486, avviene in regime di day hospital, e dall’ultima relazione al parlamento risulta che solo una donna su 563 è stata ricoverata in regime ordinario, nel 2007, con questa procedura abortiva. Evidentemente Bissoni ha cambiato opinione ieri sera durante il Consiglio di Amministrazione dell’Aifa, chiaramente ne sono lieta.

Nel comunicato dell’Aifa si legge che deve essere garantito il ricovero “dal momento dell’assunzione del farmaco sino alla certezza dell’avvenuta interruzione della gravidanza escludendo la possibilità che si verifichino successivi effetti teratogeni”. Che significa?

Credo che l’Aifa debba chiarire il significato di una affermazione che, se fosse confermata in questi termini, sarebbe gravissima.

Cioè?

I farmaci che si utilizzano per l’aborto medico – Ru486 e prostaglandina – possono essere teratogeni, cioè causare malformazioni all’embrione che sopravvivesse all’aborto. Poiché la procedura abortiva dura almeno quindici giorni, può succedere – sono fatti già accaduti e documentati – che in questo lungo periodo di tempo la donna ci ripensi, soprattutto quando la procedura fallisce e dopo quindici giorni l’embrione è ancora vivo, e decida di continuare la gravidanza. A quel punto, però, se ci ripensa corre il rischio di avere un figlio malformato. Per evitare questo, l’unica possibilità è ricorrere all’aborto chirurgico. Quindi, se venisse confermata alla lettera la frase del comunicato dell’Aifa, tutte le donne che iniziano una procedura abortiva medica non potrebbero ripensarci e sarebbero comunque obbligate ad abortire, per escludere la possibilità di eventi teratogeni.
Mi aspetto chiarimenti in merito, mi auguro di aver interpretato male: a pochi giorni dall’approvazione in parlamento di una moratoria per gli aborti forzati, l’ Italia si troverebbe ad introdurre la possibilità di aborto forzato, addirittura per via amministrativa.

E adesso che intenzione ha il Ministero?

Innanzitutto, ripeto, tutto deve essere reso pubblico. Sapremo le modalità con cui Aifa ha licenziato il farmaco e l’intera procedura. Sicuramente continua lo scambio di pareri con i tecnici dell’Aifa. Noi avevamo inviato, insieme al dossier della Exelgyn con la segnalazione delle morti, diverse domande di chiarimento su alcuni punti. Le risposte sono state totalmente insoddisfacenti, quindi continueremo a chiedere chiarimenti.

Per esempio?

Non posso entrare nel dettaglio, le informazioni sono coperte da riserbo e non possiamo renderle pubbliche. Però posso dire che mentre i tecnici dell’Aifa dichiarano che già nel febbraio 2008 erano a conoscenza delle 29 morti da noi segnalate, dai loro verbali e dal materiale a nostra disposizione, risulta che fossero a conoscenza di un numero molto inferiore. Spero che innanzitutto questo punto sia chiarito.

Ma in caso di eventi avversi gravi o di complicanze per uso di questa procedura anziché di quella chirurgica, di chi sarà la responsabilità?

Innanzitutto di chi ha concesso l’autorizzazione alla commercializzazione di un farmaco pericoloso. E poi, eventualmente, di chi non avrà rispettato le disposizioni dell’Aifa.