Verità e Vita dice no all’introduzione in Italia della pillola abortiva RU486. Condividiamo le critiche che in queste ore anche altre associazioni pro life e pro-family hanno espresso all’introduzione di questo prodotto abortivo nel novero dei farmaci riconosciuti dall’Aifa.

Tuttavia, sentiamo il bisogno di fare chiarezza sulle ragioni che ci impongono di opporci alla RU486. E lo facciamo prendendo le mosse da un coraggioso editoriale di Giuliano Ferrara, apparso sul Foglio di giovedì 30 luglio. Il titolo è eloquente: “RU486, il pesticida umano”, e riprende la definizione che Jérôme Lejeune a suo tempo diede di questa pillola che uccide.



Se diciamo no alla RU486 è innanzitutto e primariamente per questa elementare ragione: questa pastiglia ha lo scopo dichiarato di sopprimere la vita di un essere umano innocente prima della nascita. E’ questa tremenda verità, questa cruenta faccia della medaglia, a qualificare in sintesi la natura della RU486. Fa bene Ferrara a scriverlo, facciamo bene tutti noi a ripeterlo. Ma questa affermazione obbliga, per coerenza logica, a trarre tre conseguenze inconfutabili:



1.    È l’aborto volontario che, in quanto tale, uccide. Che esso sia attuato con gli strumenti del chirurgo, o che esso sia ottenuto con la somministrazione di un principio attivo, rimane immutata la tragica natura occisiva di tale gesto libero ed intenzionale. Se poi vogliamo marcare gli aspetti emotivi e ripugnanti di tale triste fenomeno, allora dobbiamo ammettere che la procedura chirurgica non è certo meno cruenta e meno impressionante di quella chimica, e basterebbe descrivere o vedere in atto le tecniche chirurgiche abortive per averne una terribile conferma. Dunque, è vero che la RU486 uccide. Come è vero che la legge 194 del 1978 uccide. Noi non possiamo accettare lo schema implicito in molti commenti letti e ascoltati in queste ore: “la RU486 è cattiva, la legge 194 è buona“.



2.    Tutte le altre motivazioni che rendono odiosa la “regolarizzazione” della RU 486 sono importanti, ma non possono e non devono essere affermate mettendo fra parentesi, o addirittura “contrapponendo”, l’attuale disciplina legale dell’aborto con l’uso della RU486. E’ evidente che l’introduzione di tale pillola rappresenterebbe un “allargamento” della piattaforma abortiva, aumenterebbe “l’offerta” di opportunità al mercato della “domanda” di aborto. E’ evidente che vi sono aspetti legati alla pericolosità del prodotto per le donne che lo usino; è evidente che vi sono notevoli dubbi sulla coerenza della stessa sciagurata legge 194 – una legge basata sulla “socializzazione” del problema dell’aborto – e l’eventuale introduzione della RU486. Ma è altrettanto evidente che la ragione fondamentale per cui siamo e restiamo contro la RU486 è una e una sola: e cioè che consideriamo profondamente ingiusto e inaccettabile l’aborto volontario legale. Se dicessimo soltanto che siamo contro la RU486 “perché è pericolosa per le donne che la usano” saremmo dei traditori della verità tutta intera. Noi pensiamo che le mine antiuomo – ad esempio – siano un oggetto terribile e da condannare, e lo pensiamo perché esse provocano la morte di molti civili innocenti, in particolari donne e bambini. Non diremmo mai che le mine antiuomo sono da evitare perché, poniamo, “pericolose per coloro che le devono collocare”.

3.    Che poi, in sede politica o nelle schermaglie tecnico-farnaceutiche, si debba e si possa usare la “leva” della pericolosità della RU486; oppure che si invochi la sua natura derogatoria rispetto alla pur permissiva legge 194; ecco, che si faccia questo è comprensibile e forse perfino necessario. Ma a nessuno salti in mente di descrivere l’aborto chimico come un mostro, al quale sarebbe da opporre come buona e legittima la strada dell’aborto chirurgico. Se siamo alla vigilia della legalizzazione dell’aborto chimico in Italia (che in realtà esiste già sui banchi delle nostre farmacie), lo dobbiamo esclusivamente a un fatto: e cioè che la denuncia pubblica dell’orrore e della mostruosità dell’aborto legale è stata ormai abbandonata e lasciata alla ostinata resistenza di un gruppetto di pochi pro-life emarginati, ridotti alla totale insignificanza pubblica. I discorsi – dilagati nel trentennale della legge italiana sull’aborto – intorno alla “bontà originaria della 194, tradita nella sua applicazione”, sulla necessità di “applicare le parti buone” della legge, sulla necessità di “rendere libera la donna di decidere senza costrizioni”; tutti questi cedimenti al vero e al giusto sono un ottimo tappeto rosso steso davanti alla introduzione della pillola per abortire. Meravigliarsi adesso dell’ennesima sconfitta sul terreno della difesa della vita umana nascente è segno di una preoccupante miopia.