La Città dei Ragazzi non è quella che Lucignolo ha fatto conoscere a Pinocchio, e non è neanche quella umbra, meta di vacanzieri della domenica in cerca di divertimento. La Città dei Ragazzi è nata da un desiderio di alcune persone, dalle macerie del terremoto. Un luogo dove si educa innanzitutto, ma di fatto un luogo dove bambini e ragazzi imparano il gusto dello stare insieme, scoprono la compagnia. La Città dei Ragazzi è fatta di volontari, adulti, insegnanti ma anche studenti universitari, che hanno scelto di dedicare il loro tempo libero, le vacanze oppure le ferie a chi vive nelle tende e ha voglia e bisogni di una distrazione.



Che parola strana distrazione. Distrarsi vuol dire in questi giorni uscire dal caldo delle tende, avere possibilità di giocare, di distogliere i pensieri dalla casa che non c’è più, dal futuro ancora pieno di incognite. Quando arrivo nel quartiere di Colle Sapone, è mattina. Ma già fa caldo, a dispetto del paesaggio circostante, composto dalla bellezza delle montagne e dal senso di frescura del verde. Invece no, si suda già al mattino. Le scosse di terremoto continuano, lievi ma presenti. Poi ogni tanto ne arriva una un pochino più forte che riporta alla mente che la terra continua a muoversi, che non si riesce e non si può vivere tranquilli.



Mi accoglie Angela, aquilana, terremotata. Da settimane vive questa esperienza curando gli aspetti organizzativi, preparando i turni dei volontari. Con lei entro sotto un grande tendone. Ormai tendoni, tende e tensostrutture sono gli edifici del vivere quotidiano. Fa caldo, ma non sembra, o comunque non ci si pensa. «E’ una cosa bella – racconta Angela – i genitori vengono a vedere, offriamo risposte alle loro esigenze, affidare i loro figli per poter lavorare. Poi i ragazzi tornano a casa, raccontano la loro esperienza e trascinano le famiglie qui dentro. Così abbiamo pensato di organizzare, una volta la settimana, un aperitivo nel pomeriggio, per stare insieme alle famiglie. Abbiamo fatto quello irlandese, quello spagnolo. Un momento di confronto con i genitori». Un aspetto umano che colpisce tutti, i genitori vengono coinvolti in canti e balli, una bella condivisione. Dentro la tenda una musica da lontano, suono di chitarra; tanti tavoli con ragazzi raggruppati intorno, divisi un po’ per fasce d’età. Nell’angolo c’è Nicola, menestrello comasco, si definisce, insegnante, con la chitarra in mano, come tre ragazzi che stanno con lui.



«Ho scoperto una gratuità nei miei confronti – racconta Nicola – innanzitutto investe me. Non sono io che faccio una cosa gratis qui all’Aquila, ma qualcosa che mi rende felice. Porterò a casa ciò che desidero di più, da vivere con mia moglie e i miei figli. Qui sono voluto bene, vivo un’esperienza che mi colpisce. Qui nessun ragazzo pascola per passare il tempo, c’è desiderio e interesse che colpisce tutti». E’ la Città dei Ragazzi, chiamati per nome. E’ la città di Manuel, di Matteo, di Leonardo, di tutti ma di ciascuno, un incontro con l’umano.

Francesco viene da Milano, è universitario. «Quando mi hanno fatto la proposta mi sono detto che valeva la pena di fare per qualcosa di più grande, anziché riposarmi ho scelto questa possibilità di spendere la mia vita». Anche Luigi è universitario milanese. «Se avessi detto perché venivo qui prima di partire avrei detto per i bambini – racconta -hanno bisogno di un’amicizia più grande. E’ un’esperienza importante per me, che ricevo qui. Stamattina cantavamo “Ho un amico grande grande” e mi guardavano con i loro occhi e mi facevano capire perché sono qui». E’ contenta anche Nicoletta, di Asti «maestra e mamma». «Sono qui perché posso avere tempo e condizioni favorevoli, non tolgo nulla alla mia famiglia. Non sono qua per il terremoto, la proposta di Diesse è un servizio ai miei fratelli uomini, è offrire cosa so fare».

La domenica si va in gita, a cavallo, in montagna, si organizzano cacce al tesoro. Il 31 agosto tutto dovrebbe finire, ma i genitori chiedono di continuare. Una compagnia che piace, una Città dei ragazzi, dove i più piccoli sono capaci di spiegare ai genitori che da una compagnia nasce la voglia di vivere.

(Fabio Capolla – giornalista de Il Tempo) 

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