In questi giorni si è discusso nuovamente sul tema del social housing e dell’esigenza abitativa sempre più impellente nei grossi centri urbani. Il bisogno di abitare è un bisogno primario: avere un’abitazione significa la possibilità di costruire una vita dignitosa, individuale o familiare.

Una necessità la cui soluzione ha diverse sfumature: si può decidere di realizzare abitazioni da dare in affitto calmierato in un contesto urbano e sociale che faciliti l’integrazione, oppure mettere in vendita abitazioni a prezzi convenzionati, o tramite le cooperative. Insomma, ci sono più strade proposte, ma è necessario saper guardare il problema in tutti i suoi aspetti per non risultare parziali nella risposta.



Chiarita questa premessa, è necessario capire chi è il soggetto che è in grado di attuare questi tentativi di risposta. Credo che la politica e le istituzioni non possano farlo da sole, così come neanche il settore privato o il solo movimento cooperativo.

In realtà tutti hanno un ruolo e la responsabilità di dare un contributo. Ma il primo compito delle istituzioni è quello di agevolare risposte al bisogno abitativo che vengono dal basso. Queste iniziative, in qualsiasi modo e da qualsiasi esperienza sorgano e si sviluppino, devono poter esprimersi trovando le condizioni adatte per farlo, per esempio ottenendo le aree a costi vantaggiosi, se non nulli, e avendo strumenti finanziari agevolati per la costruzione e la realizzazione del progetto.



Manca oggi una posizione sussidiaria che permetta il nascere di questo tipo di iniziative dal basso e che sappia tener conto di tutto, anche per esempio dell’opportunità delle ALER di diventare delle public company, coinvolgendo gli operatori privati attivi sul territorio e valorizzando il loro patrimonio che necessita una riqualificazione. Così come si possono rivedere le dinamiche di intervento della Cassa Depositi e Prestiti e come le istituzioni regionali possano attuare nuove politiche di supporto finanziario. Per esempio ci auguriamo che i nuovi fondi regionali in via di definizione in Lombardia non si trasformino in un imbuto a vantaggio di pochi, ma che sappiano sostenere qualsiasi iniziativa che nasce dal basso.



La politica e le istituzioni devono essere disposte a mettere a disposizioni le aree senza vincoli e condizioni a coloro che hanno proposte concrete e progetti sostenibili di housing sociale. La finanza deve cominciare davvero a dialogare con chi propone questi progetti, valutarne la realizzabilità e sostenerli in modo specifico. Anche il mondo imprenditoriale privato deve invece imparare a mettere a disposizione di questi soggetti sociali know-how, esperienza e tecnologie per ridurre i costi e per raggiungere risultati efficaci.

Non servono più risposte formali, ma fatti concreti così che chiunque abbia la possibilità di operare in questa direzione lo possa fare. Quindi bisogna abbandonare la logica della contrapposizione tra ruoli e responsabilità e iniziare a concorrere per l’obiettivo, avendo coscienza di quali sono le proprie specificità e quali le proprie parzialità. Un atteggiamento che è l’unica via per realizzare davvero il bene comune.

Un esempio di questo è il progetto presentato oggi a Milano da Compagnia dell’Abitare (Compagnia delle Opere di Milano), dal nome evocatorio, SMS-Social Main Street, che realizzerà a Milano Bicocca 112 appartamenti in social housing di alta qualità. Il progetto, a cura di Urbam e Dante O. Benini & Partners Architechts, è una risposta concreta al bisogno abitativo e si pone sussidiariamente come modello di un nuovo modo di fare social housing, economicamente sostenibile e di qualità.