La campanella ha suonato per la prima volta dopo il terremoto del 6 aprile. Centinaia di ragazzi chiassosi si sono rivisti dopo mesi passati lontano dalla città, in qualche albergo della costa adriatica, oppure dentro una di quelle tende blu della Protezione civile. I più fortunati hanno invece potuto andare in una “seconda casa”, chi al mare, chi in montagna.



Commovente, davanti ai miei occhi, l’abbraccio intenso, lungo tra due ragazzi. Si erano sentiti per telefono, avevano chattato su internet ma dopo il terremoto non si erano più guardati negli occhi. L’abbraccio, lo sguardo durato interminabili secondi, è valso più di mille parole. Un’amicizia che neanche la forza bruta e matrigna del terremoto ha potuto cancellare, neanche le difficoltà e la lontananza di questi mesi ha potuto recidere. Non sono riuscito a cogliere i nomi di quei due studenti dell’Istituto tecnico dell’Aquila, ma ho colto il valore che svolge una compagnia. Un incontro che vale più di tante lezioni, di ore seduti in classe.



L’apertura della scuola, la prima campanella dopo il terremoto ha significato questo, ha dato la possibilità a tanti di rivedersi, di scambiarsi le sensazioni, i dolori, le ansie che dopo il 6 aprile hanno cambiato la loro quotidianità. Una giornata di ordinaria follia tra la pioggia e il traffico impazzito, tra aule allagate e genitori preoccupati dell’agibilità antisismica delle strutture scolastiche. Una giornata di gioia, di allegria, di voglia di scherzare, quella voglia che sembrava sepolta sotto le macerie delle case crollate.

E proprio le strutture scolastiche rappresentano un altro piccolo miracolo del lavoro che è stato compiuto in cinque mesi. Non tutti sono rientrati in classe ieri, rientro scaglionato fino al prossimo 5 ottobre. Ma per tutti c’è una scuola, per tutti un banco in un’aula. Dove si è potuto sono stati fatti lavori di ristrutturazione e di consolidamento della scuola esistente, dove invece i crolli sono stati gravi sono state realizzate strutture ex novo. In città come nei paesi del comprensorio. Chi ha strutture utilizzabili offre spazio a chi non ne ha. Nell’asilo di Onna, che ormai conta solo quattro bambini, arrivano dai paesi vicini, fino a raggiungere quota settanta. A San Demetrio ne’ Vestini ci ha pensato Barilla. Non un mulino bianco ma una scuola ampia realizzata grazie a contributi e donazioni. Ieri la gioia di riabbracciarsi. Sono pochi gli studenti che hanno abbandonato L’Aquila, scegliendo scuole di altre province, tutti hanno preferito ritrovare i vecchi compagni, quelli con cui si condivideva lo studio e poi le passeggiate in quel centro storico che si sta ancora mettendo in sicurezza.



Non è semplice frequentare la scuola. C’è chi viene da lontano, anche centro chilometri dall’albergo in cui si è sfollati. E si parte la mattina alle sei per essere puntuali in classe. Poi c’è chi deve tenere libri e quaderni in tenda, con la preoccupazione che la pioggia li renda inservibili. Ricominciare la scuola è stato un po’ come ricominciare a vivere, riassaporare la vita normale, il quotidiano.

Ricominciare la scuola è stato riscoprire che l’amicizia ha vinto il terremoto.

 

(Fabio Capolla – giornalista de Il Tempo)

 

 

 

Leggi anche

TERREMOTO L’AQUILA/ 10 anni di speranza e costruzione: chi è rimasto non si è persoTERREMOTO L'AQUILA/ Lacrime vere o di circostanza? Per certi Pm vale lo "spettacolo"...SENTENZA L'AQUILA/ Boschi: la condanna mi distrugge, ma non potevo prevedere il terremoto