Caro direttore,
La polvere della battaglia era lo strumento dietro cui Ares – Dio della guerra – faceva fare agli uomini cose diverse da ciò che essi credevano. Nella mitologia greca, era la classica metafora per indicare le conseguenze inintenzionali dell’agire umano, su cui a lungo si soffermerà Von Hayek contro ogni pretesa assoluta di razionalità umana strutturalista. Penso che ne abbiamo appena avuto l’ennesima conferma, nella vicenda giornalistica che ha portato alle dimissioni del direttore dell’Avvenire, Dino Boffo. Va di moda sui giornali italiani di questi tempi stilare elenchi di dieci domande. Solo che ormai i decaloghi non condensano la propria volontà di aprirsi a un confronto vero. Sono domande retoriche. Mascherano in forma fittiziamente interrogativa convinzioni inossidabili già raggiunte. A prescindere, come diceva Totò. Cercherò qui di evitare l’errore.
Primo. La giustificazione data da chi guida il Giornale è che una notizia è una notizia, e i giornali servono per pubblicarle. In questo caso, si è detto che il precetto evangelico era “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Tradotto: non critichi la vita privata di Berlusconi, chi ha pecche nella propria vita privata. Vale questo criterio a prescindere dalle funzioni svolte, solo basandosi sul criterio di chi è “personaggio pubblico” ai sensi della legge sulla stampa (dunque Boffo compreso, che pure non è premier)?
Secondo. Ma allora perché non dovrebbe valere il principio per il quale chiunque può dire di un qualunque giornalista che ha avuto condanne per diffamazione che è un diffamatore conclamato, e che dunque dovrebbe stare zitto per sempre e deporre la penna? Io non lo penso. Ma fatto sta che di condanne per diffamazione nella mia carriera non ne ho mai subite, l’attuale guida del Giornale ne ha rimediate diverse. Con il criterio “da che pulpito viene la predica” a quali regole bisogna sottoporre il criterio per essere ammesso alla direzione di un giornale, se non una fedina penale monda da ogni condanna ricevuta nell’esercizio della propria professione?
Terzo. Ma il criterio per il quale si è sempre difeso il ruolo pubblico di Berlusconi non è forse quello per cui a contare è il voto espresso di volta in volta dagli italiani scegliendolo per governare, a prescindere dalle vicende giudiziarie e dal conflitto d’interesse? Perché dovrebbe valere quando gli italiani scelgono un premier, e non quando un editore sceglie un direttore che magari ha avuto le sue pecche?
Quarto. Se invece il fine della pubblicazione della notizia non era solo la persona di Boffo, ma innanzitutto il ruolo che rivestiva come direttore del quotidiano della Cei, e le critiche che il quotidiano stesso aveva espresso nei confronti dello stile di vita personale del premier, è vero o non è vero ciò che successivamente ha detto poi il ministro Sacconi, e cioè che Boffo stesso e la sua direzione di Avvenire non erano certo espressioni da considerarsi ostili al premier, visto che sarebbero state avversate negli anni da parti dell’episcopato e della Chiesa italiane ben più ostili a Berlusconi stesso?
Quinto. E se poi, procedendo ancor oltre nella dietrologia, il fine non era neppure il solo energico massaggio alle posizioni della Cei, bensì piantare un picchetto tra la Cei stessa e la Santa Sede attraverso la Segreteria di Stato, si può pensare davvero che quanto avvenuto renda più probabile un riallineamento della Cei a posizioni meno critiche verso il premier, posto che questo fosse l’obiettivo, oppure è più che probabile che avvenga il contrario, stante che il primo a indicare l’opportunità delle dimissioni di Boffo è stato il presidente della Commissione Affari Giuridici della Cei stessa, sua eccellenza monsignor Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, che pure non aveva mancato in precedenza di essere molto esplicito anche in interviste pubbliche, indicando che meglio sarebbe stato che il premier desse risposta in Parlamento alle domande rivoltegli dai critici della sua vita privata?
Sesto. E ancora, posto che fosse non solo la Chiesa italiana l’obiettivo, bensì una svolta nei rapporti con la Chiesa universale attraverso il suo capo protempore, alla luce di quale considerazione si può ritenere che il Soglio di Pietro reagisca meglio a un calcio nei denti che a sollecitazioni di ordine molto diverso?
Settimo. Che cosa fa pensare che non sia vero ciò che ha scritto sul Sole Stefano Folli, non certo sospettabile di essere pregiudizialmente del partito filo Cei, e cioè che «la Chiesa non dimentica. Ci vuole molta ingenuità per credere che la storia finisca qui, con l’uscita di scena di un uomo la cui vita – sono le sue drammatiche parole – “è stata violentata”. Le vendette di Berlusconi si consumano subito, quelle dei vescovi richiedono tempi lunghi, alle volte molto lunghi, ma sono spesso implacabili»?
Ottavo. È davvero stato un effetto voluto come positivo o è un boomerang imprevisto, l’aver risospinto la Cei e parti non secondarie della Chiesa italiana ad apprezzare inevitabilmente le sia pur dell’ultim’ora difese venute dai media e dai capi del centrosinistra, contro quella che è stata inevitabilmente presentata come un’operazione anticristiana?
Nono. Si sarà pur fatto un favore alla nuda verità, dicono al Giornale. Ma a Berlusconi giova davvero, che Gianni Letta con la sua linea della moderazione denegata torni ad essere oggi l’unico interlocutore possibile per la Pdl di Oltretevere e della Chiesa italiana? Oppure è un passo indietro drammatico, per la credibilità del ruolo di un premier quale per una ragione o per l’altra si allunga ogni giorno l’elenco delle mani di coloro ai quali non può più stringerle di persona?
Decimo. Che cosa fermerà la spirale, stante che di carte e cartuscelle giudiziarie sono pieni gli archivi di tre quarti d’Italia? Pretendere che il direttore dell’Avvenire sia mondo di ogni peccato non è una visione spiritualmente da catari e manichei, e politicamente da inguaribili irrealisti o sprovveduti e rovinosi mentitori? Temo che si dimentichi una cosuccia da niente. Pare proprio che la Chiesa sia stata fondata come prima fondamenta su un certo Pietro, malgrado avesse denegato egli per primo tre volte il Signore. Non voglio pensare che cosa ne avrebbe detto il Giornale.