1° agosto 2009: 14enne bresciana ubriaca barcolla in piazza Vetra a Milano con una bottiglia di vodka in mano, all’arrivo degli agenti di Polizia cade rompendo la bottiglia, poi continua a bere ferendosi il viso e finendo al Policlinico; 16 agosto: ragazza 23enne di Potenza muore durante un rave party nel Salento in provincia di Lecce; poche ore dopo: giovane israeliano di 26 anni perde la vita in un altro rave vicino a Campobasso…



Le cronache di questo agosto 2009 sono inquietanti soprattutto per un fatto: ci raccontano una realtà identica a quella dell’estate scorsa. Ecco le prove: “Ecstasy, ragazza muore a 16 anni in una festa sulla spiaggia” (Corriere della Sera, 21 luglio 2008) e subito dopo: “Alcol e droga, muore a 26 anni. Rifiuta il ricovero dopo un malore a una festa sulla spiaggia di Ostia” (La Repubblica, 29 luglio 2008). E poi però ancora, nel settembre 2008: “Siena. La festa in un capanno. Soccorsa dalla sorella. Muore a vent’anni dopo un rave-party” (Corriere della Sera, 15 settembre 2008).



Il ripetersi di fatti drammatici riguardanti giovani – che potrebbero essere anche i nostri figli incappati durante la vacanza in qualche teknival a suon di watt, alcol e droghe – ci dice che il vero problema non sono le nuove generazioni “in delirio” (rave significa questo appunto) ma gli adulti, troppo disattenti e incapaci di intraprendere azioni concrete rispetto a fenomeni gravi e sempre più sotto la lente di osservazione internazionale. Il caso della cannabis è emblematico, con l’Onu che dedica al nostro Paese un paragrafo speciale nel World Drug Report 2009: siamo uno dei pochi Paesi europei in cui il consumo di cannabis continua ancora ad aumentare, raddoppiando dal 2003 al 2007, riguardando soprattutto i giovani tra i 15 e i 24 anni, con forte incidenza presso le ragazze, gruppo sempre più a rischio che – non a caso – compare spesso nei fatti di cronaca.



Che fare? Per quanto riguarda i rave party, il dibattito è sembrato orientarsi su due posizioni, che del resto riguardano anche l’atteggiamento verso alcol e droghe: proibire o legalizzare? Rispetto a queste due possibilità la nostra proposta è quella, per cominciare, di rinnovare il lessico ormai sterile e ideologicamente connotato con cui si affrontano tali problemi: la comunità internazionale ha da tempo smesso di discutere su queste due voci (proibire e legalizzare) e ha scelto un nuovo punto di vista come panorama da cui osservare per poi agire: “noi, adulti, ci prendiamo cura davvero della salute, dell’educazione e del bene dei nostri giovani”. Si tratta di una modalità di riflessione semplice ma molto concreta e capace di produrre immediatamente azioni efficaci, ben diverse dalla “chiacchera” (e rave significa anche vaneggiamento) con cui in Italia spesso si affrontano problemi che si ripresentano con un volto ancora più preoccupante.

Proviamo ora a fare questo esercizio, assumendo per un attimo la posizione dell’“adulto che si prende cura davvero dei giovani”: considerato che è quasi impossibile smettere di fumare se si inizia prima dei 21 anni, e che il tabacco provoca malattie gravi e mortali, come giudicare l’ordinanza firmata dal sindaco Ruggero Barbetti di Capoliveri (Elba) che impedirà ai minori di 16 anni la sigaretta? Dato che fino almeno ai 20 anni il corpo umano è vulnerabile all’etanolo, e che da tempo l’Ue invita gli Stati membri a proteggere gli adolescenti dal consumo di alcol che in Europa uccide un maschio su quattro e una giovane su dieci tra i 15 e i 29 anni, come giudicare la notifica di chiusura al locale di Milano che insiste nel vendere alcolici ai minori di 16 anni nonostante le leggi vigenti a riguardo?

E poi: a fronte delle ricerche scientifiche che presentano i gravi disturbi mentali riportati dai consumatori di cannabis (grave depressione, ideazione suicida, psicosi e schizofrenia, cfr. http://www.claudio-rise.it/cannabis/cannabis.htm) quale atteggiamento assumere rispetto a un comico che utilizza ampiamente internet e la risonanza dei media per proporre la depenalizzazione di questa droga? E infine: cosa dire del fatto che in diversi Paesi ecstasy e metamfetamine sono combattute con campagne mediatiche nazionali (http://www.mediacampaign.org/), mentre in Italia gli studenti non sanno neppure che queste sostanze erodono aree del cervello e danneggiano il sistema di produzione della dopamina con un danno pari a quello riscontrato nel morbo di Parkinson? 

La risposta a queste domande può nascere solo dall’osservazione attenta di un’“esperienza elementare, quello spron che ci punge”, come diceva Giussani. Intanto i ragazzi muoiono perché nessun adulto ha coraggio di prendersi cura di loro, di informarli sui pericoli che possono incontrare e, laddove necessario, di dire di “no, perché ti fa male”.