Il Tribunale di Udine ha archiviato il procedimento aperto per omicidio volontario nei confronti di Beppino Englaro e altri 13 indagati che a vario titolo hanno partecipato all’esecuzione del protocollo di interruzione del sostentamento che ha causato la morte di Eluana presso la casa di risposo “La Quiete” di Udine. IlSussidiario.net ha intervistato per un commento sulla decisione il prof. Alberto Gambino, giurista e direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma.



Prof. Gambino, come commenta a caldo il decreto di archiviazione del GIP di Udine?

La decisione del GiP di Udine, che ha archiviato il procedimento penale a carico di Beppino Englaro e di altri 13 sanitari indagati per la morte di Eluana, si colloca all’interno di quella tendenza dei nostri magistrati di considerare “diritto”, cioè legge dello Stato, ciò che è piuttosto frutto di orientamenti giudiziari.



Il ragionamento che è alla base di questo tipo di decisione considera ogni singola sentenza della magistratura come un tassello che, aggiungendosi a quanto disposto da altri giudici, offre nel suo insieme il quadro delle regole applicabili nei confronti di quelle vicende che non trovano nella legge una disciplina espressa.

Da cosa si evince questo tipo di ragionamento nel decreto di archiviazione?

Dunque, per entrare nel caso concreto, le posizioni di Beppino Englaro e di altre 13 persone indagate per il reato di omicidio volontario, secondo il GIP andrebbero archiviate in quanto la morte di Eluana, pur configurandosi come decesso provocato dalla volontaria interruzione del sostentamento ad opera dei soggetti indagati, tuttavia sarebbe conforme alle indicazioni della magistratura. Tale circostanza rende così applicabile al caso in questione l’art. 51 del codice penale, che prevede la non punibilità per i comportamenti posti in essere a seguito di un ordine dell’autorità o di una norma giuridica.



In realtà, però, la causa di giustificazione che esclude la punibilità in questo caso consegue, da un lato, ad un provvedimento autorizzatorio emanato da un giudice, e, dall’altro, all’interpretazione che di quel provvedimento ha dato un altro giudice.

Dunque la decisione non si fonda su diritti e doveri, ma su interpretazioni?

Per essere precisi, la posizione di Beppino Englaro va archiviata in quanto la Corte d’Appello di Milano lo aveva autorizzato a disporre l’interruzione del trattamento di sostegno vitale somministrato tramite sondino alla figlia; la posizione dei sanitari, che materialmente hanno provocato il decesso, viene, più in particolare, archiviata in quanto, come ha disposto il Tar della Lombardia, la prima decisione (quella della Corte d’Appello di Milano emessa solo nei confronti del tutore Englaro) in realtà sarebbe stata “operativa” non solo nei confronti di Englaro, ma anche nei confronti del personale sanitario.

Ora si usa il condizionale non già perché la sentenza del Tar Lombardia potrebbe comunque aver dato una lettura erronea della vicenda, ma per una ragione ben più importante: quella decisione del Tar, e dunque quella interpretazione su cui il GiP di Udine fonda parte decisiva del decreto di archiviazione, è stata impugnata ed è tuttora pendente davanti al Consiglio di Stato, e non è perciò da considerarsi decisione definitiva.

Dunque l’impalcatura su cui si regge la giustificazione della non punibilità dei sanitari che hanno eseguito il distacco del sondino non può trovare le sue fondamenta in quella decisione del Tar della Lombardia?

 

No, infatti non è stato risolto definitivamente dalla giurisdizione amministrativa proprio il nodo giudiziario se il decreto ottenuto dal tutore Englaro avesse forza espansiva tale da operare anche nei confronti di altri enti e cittadini (cioè strutture e medici) estranei al giudizio.

 

 

Ma potrebbe ricavarsi da un principio generale?

 

E’ noto che, di regola, i decreti di autorizzazione legittimano al compimento dell’atto autorizzato esclusivamente il soggetto richiedente. Il tragico epilogo della vicenda, deviata dagli schemi giudiziari della giurisdizione amministrativa incardinata con il Tar lombardo (tant’è che il procedimento penale poi si è svolto ad Udine, luogo dove si è eseguita l’interruzione del sostentamento ed è avvenuta la morte del paziente), ha lasciato insoluta la questione dell’operatività del decreto anche per i sanitari.

Si è finito così col ragionare in base ad un assioma: che il decreto che autorizzava il tutore Englaro a disporre il distacco del sondino operasse anche verso strutture di assistenza e personale sanitario, come argomentato dalla decisione del Tar Lombardia, dimenticandosi però che questa tesi, come detto, non ha ancora ricevuto il rango di giudicato definitivo, essendo pendente ricorso davanti al Consiglio di Stato.

 

 

E’ dunque soltanto una tesi priva di riscontro giurisprudenziale definitivo quella che scagionerebbe i sanitari dal reato di omicidio volontario?

 

La tesi dell’operatività del decreto di autorizzazione anche nei confronti dei sanitari è una posizione legittima, ma discutibile, e riguardante un tema enorme, che coinvolge prerogative di soggetti pubblici, contenuti professionali di chi presta assistenza alla cura, necessaria omogeneità dei protocolli regionali e principio di unitarietà del nostro sistema sanitario, solo per citare alcuni aspetti.

Ma, soprattutto, il punto che qui interessa è che questa tesi è priva di esplicita soluzione giurisprudenziale definitiva e, dunque, non appare idonea a configurare causa di giustificazione rispetto ad un comportamento inquadrabile in una fattispecie penale.

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